Sulla morte di Tullio Pagliaro e Giuseppe Fusella, scambiati per ladri e uccisi a colpi di pistola a Ercolano, si discuterà e si confronteranno i sostenitori dell’evento intenzionale o quelli dell’imputabilità al caso. Come se la vita fosse una lotteria e il caso ne costituisse una parte rilevante nei fenomeni umani e sociali. Proprio la pandemia, per i fautori di tali tesi, potrebbe essere usata per dimostrare che alcune catastrofi non posso essere previste e che molte storie individuali e collettive sono attraversate dall’imponderabile per cui, quando l’esito è nefasto, le traiettorie appaiono inevitabili.

Ma è davvero così? Com’è possibile che più ci serviamo dell’intelligenza artificiale, delle nuove tecnologie, di apparati sofisticati di controllo e maggiori appaiono le condizioni che configurano la forza maggiore del caso? In realtà basterebbe ammettere che impariamo molto poco dagli eventi e che all’aumento dei rischi si deve rispondere con un aumento della prevenzione. Nel nostro Paese, infatti, a differenza di altri, il ceto politico non è abituato a ricorrere alla valutazione dell’impatto che nuove politiche pubbliche suscitano rispetto alle attese iniziali. È così per il reddito di cittadinanza, per le politiche sociali, per le decisioni sulle pensioni. E per la sicurezza. Su quest’ultimo terreno, anzi, il confronto è esclusivamente ideologico. Destra e sinistra mancano di una cultura preventiva.

Da destra, la narrazione comunicativa sulla sicurezza è fondata sulla paura, sulla minaccia, gli sbarchi, gli immigrati, l’isolamento dei balordi, degli sbandati e l’invocazione di “più carcere”. Sicurezza si trasforma in discorso securitario, ne condensa il pathos e la formulazione più adatta è la criminalizzazione dei marginali e dei non protetti, nonché un allarme sociale gridato all’occorrenza. La stessa modifica della legge sulla legittima difesa (legge 36 del 2019) è figlia di questa ideologia e l’ampliamento dell’ambito di applicazione alla difesa domestica” si sta dimostrando un orpello funzionale a quell’elettorato sensibile a mostrare i muscoli, a interpretare come legittima reazione ogni situazione che adombri una potenziale aggressione e ne qualifichi il ricorso all’arma come stato di necessità. La responsabilità del ceto politico è ampia e non di meno quella dei media, e segnale è l’assenza di un’adeguata ed efficace comunicazione pubblica capace di dar conto, su un terreno così delicato quale la legittima difesa, che il fondamento della norma resta, invece, ancora ancorato al principio che la difesa è legittima solo di fronte a un pericolo reale, cioè a una situazione potenzialmente lesiva. E quella che descrive la circostanza nella quale si trovavano Pagliara e Fusella non lo era.

A questa traiettoria securitaria, la sinistra contrappone l’ideologia che fonda il discorso su tutto ciò che plasma l’avvenire più lontano. La sicurezza coincide con il tema delle periferie delle città o nelle città, le condizioni estreme di esclusione sociale o quelle che facilitano la marginalità sociale e culturale, ancorché economica. La metafora che racchiude nella contemporaneità il crogiolo di queste tematiche è la sicurezza urbana. All’occorrenza sono brandite le statistiche ufficiali sulla delittuosità il cui andamento da anni è in diminuzione, ma per ragioni completamente diverse dalle immancabili connessioni con i flussi migratori, con l’azione del crimine organizzato, o con l’efficacia dei controlli territoriali da parte delle forze dell’ordine.

Ciò che manca è una sana, costante, organizzata e articolata prevenzione che passa per il monitoraggio della condizione psico-attitudinale di quanti hanno il porto d’armi; per l’implementazione di strategie di controllo territoriale basate su modelli di analisi proattivi e predittivi che in modo sempre più proteso le polizie straniere vanno adottando; per un controllo più efficace dell’offerta di armi che al mercato nero si possono acquistare come la coca cola al bar; per una più efficace e capillare comunicazione pubblica sulla legittima difesa.