Pierdonato Zito è nato a Montescaglioso, è stato condannato all’ergastolo ed è rimasto in carcere ininterrottamente per 25 anni, di cui 8 al 41 bis. Dal 2020 è in regime di semilibertà. Pierdonato è la rappresentazione vivente del fine rieducativo della pena, quello sancito dalla nostra Costituzione, e che si sposa malissimo col “fine pena mai” e il “carcere duro”. Anche se in un’ottica machiavellica, nel belpaese, il fine – quello rieducativo – non giustifica mai i mezzi della detenzione italiana, anzi, proprio questi finiscono, troppo spesso, per cancellare del tutto le previsioni costituzionali.

Grazie al percorso didattico nel carcere di Secondigliano, Pierdonato è riuscito a fare di se stesso e con se stesso un esperimento di auto-etnografia penitenziaria, dimostrando come ci si possa tras-formare e prendere cura del sé rifuggendo senza evadere l’assoggettamento dell’istituzione carceraria per costruire una nuova e diversa soggettività. La sua tesi di laurea con lode in sociologia è diventata un libro: “Lo studio negli istituti penitenziari: Education and Imprisonment”, collana Carcere e Società. Specialmente, con la sua vita (tra le mura del carcere e fuori da quelle mura), Pierdonato ha confessato, cioè ha testimoniato e ha detto il vero su se stesso; ha fatto penitenza, cioè ha portato, prima ai suoi compagni di carcere e, poi, anche nelle scuole, se stesso come esempio.

Certo, viene a mente un tal Foucault, proprio quello delle tecnologie del sé, ma Pierdonato ce lo abbiamo davanti, è vicino a noi, di fianco, trasformatosi, quindi, in un delizioso e gentile grillo parlante di collodiana memoria. Viene da chiedersi come sia stato possibile tutto questo, tenuto conto che Pierdonato Zito non è solo (e non è il solo) in questo percorso di tras-formazione. Ovviamente ci sono per lo mezzo gli uomini e le donne che costellano il panorama carcerario italiano, i magistrati di sorveglianza, gli agenti di polizia penitenziaria, gli operatori, i direttori, gli insegnanti, i docenti dell’Università “Federico II” di Napoli – Polo Universitario Penitenziario di Secondigliano.

Ed è sempre vero che l’uomo ha continuativamente bisogno di un Maestro, è sempre allievo senza mai superarlo, perché il Maestro, quello vero, non si supera, semplicemente si sostituisce con la presenza di un nuovo allievo; ma allievo e Maestro, nel loro personalissimo rapporto, a un certo punto, possono sostituirsi a vicenda, trasformando in poesia un antico rapporto di subalternità. Questo è quello che accade con Pierdonato. Da detenuto aveva necessità di trovare maestri e li ha trovati, ma, poi, le tecnologie del sé hanno funzionato bene e negli anni molti compagni hanno trovato in lui un Maestro, molti maestri hanno trovato in lui un esempio, fino ad arrivare alle scolaresche che spesso lo ascoltano, fino ad arrivare a Papa Bergoglio che lo ha ricevuto, lo ha ascoltato nell’evento “Francesco e gli Invisibili, il Papa incontra gli ultimi”.

Il suo libro serve perché troppo spesso chi parla del carcere, anche in punto di scienza, in carcere non c’è mai stato e in tal senso Pierdonato Zito con la sua opera va ad inserirsi in quel panorama internazionale oggi definito col termine di Convinct Criminology ove “i reclusi sono al contempo testimoni individuali delle criticità del sistema penale e attori sociali che reagiscono consapevolmente al processo di stigmatizzazione di cui sono stati oggetto o destinatari e continuano ad esserlo”; non a caso, “l’istituzione carceraria è sociologicamente interessante poiché è la rappresentazione dell’intera società e dei conflitti che in essi si agitano”, nella specie, siamo di fronte ad una conoscenza empirica antropologica che si trasforma in vera e propria analisi sociologica.

Insomma, le contraddizioni, le incongruenze, le s-torture che caratterizzano la materialità dell’esecuzione penale prendono forma con e in Pierdonato Zito, il quale, con la sua attività di Convinct Criminology va a riempire un vuoto, tenuto conto che nelle carceri italiane la sociologia non trova albergo, nemmeno in funzione rieducativa e risocializzante, facendola da padroni la psicologia e l’assistenza sociale.
Pierdonato e la ‘sua’ Convinct Criminology ci porta testimonianze dirette, contrasta gli stereotipi negativi della cultura dominante che vuole i detenuti come ‘mostri’, che nega e calpesta, senza nascondersi, il fine rieducativo della pena.

Pierdonato, proprio come Victor Hugo, con la sua detenzione, il suo studio, la sua tras-formazione, apre una scuola e chiude una prigione, del che c’è stata effettiva testimonianza il 27 gennaio scorso quando alla Federico II, alla presenza di insigni giuristi, mentre si presentava altro libro – quello di Elio Palombi, “Magistratura e Giustizia in Italia. Dal 1970 alla riforma Cartabia” – si è visto cedere la sedia di relatore da Vincenzo Maiello e per qualche minuto ha intrattenuto una platea decisamente interessata.

Alessandro Gargiulo, Manuela Palombi

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