Il dramma dietro le sbarre
Suicidi in carcere, prosegue la strage silenziosa: ormai è emergenza sociale
Ahmeti aveva 28 anni, era entrato in cella a luglio, la condanna diventata definitiva, il fine pena previsto per settembre del prossimo anno. Non ha resistito, si è tolto la vita in cella, nel carcere di Salerno, approfittando del buio della notte. Primo suicidio dell’anno finito nel triste bilancio di un elenco che con l’inizio del 2022 si è azzerato per essere riaggiornato. Eppure si tratta di una vita umana, non solo di un numero da archiviare sotto la voce “eventi critici”. E non dell’unica vita persa in questo inizio anno, visto che in tre giorni il bilancio è già a salito a due morti dopo il suicidio di un detenuto, ieri, nel carcere di Vibo Valentia.
E se a ciò si aggiungono le notizie di tensioni in varie carceri del Paese, acuite dalla situazione attuale di emergenza legata alla nuova ondata della pandemia per la diffusione capillare della variante Omicron, e di un detenuto ricoverato a Napoli tra i grandi ustionati per aver tentato di darsi fuoco, è chiaro che la situazione dietro le sbarre sta diventando esplosiva. Un’emergenza sociale, ormai. A denunciarlo non sono soltanto i garanti delle persone private della libertà personale, ma anche gli agenti della polizia penitenziaria. «Il suicidio di un detenuto di ieri a Vibo Valentia, dove solo pochi giorni fa un altro detenuto extracomunitario aveva tentato di togliersi la vita dandosi fuoco ed è tuttora ricoverato in gravi condizioni nel centro Grandi ustionati dell’ospedale Cardarelli di Napoli, è il secondo dell’anno appena iniziato, dopo il suicidio avvenuto a Capodanno a Salerno. E se si aggiunge che nelle ultime ore a Genova solo il pronto intervento di agenti penitenziari ha salvato un detenuto dal suicidio, la situazione è di autentica emergenza civica», ha affermato il segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria, Aldo Di Giacomo.
Nel 2021 i suicidi in carcere sono stati 54 in tutta Italia, nove in Campania. E sono stati oltre 500 negli ultimi dieci anni, mentre alcune decine di migliaia sono stati i casi di autolesionismo e sarebbero stati il doppio se non ci fosssero stati interventi tempestivi degli agenti penitenziari. La pandemia ha accentuato le situazioni di disagio mentale, di apprensione ed ansia all’interno degli istituti di pena. «Ha avuto e continua ad avere ripercussioni ancora più gravi nelle carceri dove il personale di sostegno psicologico, come quello sanitario in generale, ha numeri ridotti e non riesce a far fronte all’assistenza ancor più necessaria negli ultimi due anni di Covid», denunciano i sindacati. Di qui la proposta di istituire sportelli di sostegno psicologico contando su almeno 3 mila laureati in psicologia che in tutta Italia non risultano lavorare con continuità.
E poi l’esigenza di attivare corsi di formazione e di aggiornamento per rendere il personale delle carceri maggiormente preparato ad affrontare casi di autolesionismo e suicidio, oltre naturalmente a provvedere rapidamente all’atteso potenziamento degli organici. Da tempo ormai è inascoltato l’allarme di penalisti, garanti e personale degli istituti di pena relativo alla carenza di psicologici e operatori per dare supporto psicologico ai detenuti, alla mancanza di percorsi alternativi per i detenuti malati di mente, alla inadeguatezza degli spazi della pena che finiscono per incidere negativamente anche sulle menti sane rendendole fragili e più esposte ad atti di autolesionismo. Soprattutto quando il carcere diventa solo luogo di reclusione e di privazione, senza speranza, senza tempo, senza obiettivi. A livello politico e governativo il problema è noto, l’argomento è tra quelli ampiamente dibattuti ma si fa ancora fatica a intravedere una soluzione al problema e intanto si continua ad assistere alla strage silenziosa dei suicidi in cella.
© Riproduzione riservata