Dall’inizio dell’emergenza Covid a oggi le istituzioni dell’Ue sono state decisive per elaborare e avviare tempestivamente interventi di sostegno ai paesi impegnati a fronteggiare la crisi pandemica e ad arginarne le conseguenze economiche. Tutti gli strumenti di cui parliamo quotidianamente – a partire dalla nuova linea di credito senza condizioni del Mes, per arrivare al Recovery Fund – tre mesi fa non esistevano e non erano neppure stati ipotizzati. Il governo Conte II ha partecipato in questo periodo a una trattativa determinante per le sorti dell’Italia senza alcun mandato e indirizzo parlamentare. Malgrado tra marzo e aprile si siano tenute ben quattro riunioni di emergenza del Consiglio europeo e la legge preveda il necessario coinvolgimento del Parlamento nella definizione degli indirizzi dell’esecutivo, il Governo ha sempre trovato il modo per derubricare i passaggi parlamentari a una semplice “informativa”, con un dibattito di qualche ora senza documenti e senza votazioni.

In questo modo, non si sono solo violate le prerogative delle camere, ma anche una precisa disposizione della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (“Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea”), che all’articolo 4, comma 1, recita testualmente: «Prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, il Governo illustra alle Camere la posizione che intende assumere, la quale tiene conto degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati». Le motivazioni utilizzate dall’esecutivo per sottrarsi al confronto con le camere sono di risibile pochezza burocratica, perché riguardano le modalità eccezionali di convocazione e svolgimento (in videoconferenza) e dunque il carattere tecnicamente informale di queste riunioni. In realtà nelle quattro precedenti riunioni tra marzo e aprile i capi di stato e di governo hanno preso decisioni e assunto responsabilità di portata storica, che hanno già coinvolto sia il Parlamento europeo sia la Commissione Ue. Il Parlamento italiano è stato invece muto, anzi, più propriamente, “silenziato”.

Venerdì prossimo si terrà una nuova riunione del Consiglio europeo, anch’essa in video-conferenza, e dovrà avviare la costruzione del Next Generation Ue proposto dalla Commissione: un piano di 750 miliardi, oltre 170 dei quali potrebbero beneficiare il nostro Paese. E per l’ennesima volta il Governo impedirà che il Parlamento esprima un indirizzo su questa discussione e in generale sulla linea che l’esecutivo italiano dovrebbe tenere anche rispetto agli altri strumenti europei oggi già disponibili, a partire dal Mes. In realtà, per mercoledì 17 (oggi per chi legge ndr), erano previsti sia alla Camera che al Senato “comunicazioni del Governo”, cioè un tipo di discussione che prevede la presentazione e la votazione di risoluzioni di indirizzo politico.

Mentre scrivo, oggi, martedì 16 giugno, sul sito del Senato l’ordine del giorno dell’assemblea continua a riportare: “Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri in vista del Consiglio europeo del 18 e 19 giugno 2020 (ore 15)”. Perché allora la maggioranza è tornata indietro? Semplice: perché non avendo trovato al proprio interno una quadra sul Mes e non avendo ancora sciolto la riserva rispetto al suo utilizzo, vuole impedire votazioni che potrebbero segnare divisioni dentro la maggioranza o, in nome dell’unità, un ricompattamento sulle posizioni contrarie del Movimento 5 stelle. Qualcuno ha addirittura giustificato la marcia indietro del Governo parlando di una “trappola Bonino”. A parte il fatto che non ho mai visto trappole così pubblicamente e anticipatamente annunciate, io mi sono limitata a ribadire ciò che sostengo da tempo: sul Mes il quando della decisione è ora e il dove è il Parlamento.

Lunedì ho perciò annunciato con una intervista a Repubblica che avrei presentato una risoluzione chiedendo al Governo di ricorrere subito, in luogo di forme di debito più oneroso, alla linea di credito di 36 miliardi del Mes, che avrebbe interessi pari a zero e consentirebbe all’Italia di risparmiare tra i 500 e i 600 milioni di euro l’anno, nove o dieci volte di più dei risparmi del cosiddetto “taglio dei parlamentari”. Se un partito come il M5S ha giustificato una mutilazione violenta e stupida del Parlamento e il licenziamento di un terzo degli eletti per risparmi netti di meno di 60 milioni all’anno, come può imporre all’esecutivo di rinunciare a risparmi di 10 volte superiori?

Immediatamente ministri e parlamentari della maggioranza mi hanno comunicato privatamente e risposto pubblicamente che di votare proprio non se ne parlava. Ufficializzando così che i problemi, da uno, diventavano due. In primo luogo, il mancato coinvolgimento delle camere nelle decisioni dell’esecutivo in materia di politica europea, e in secondo luogo la degradazione del Parlamento a luogo di chiacchiere senza sostanza. Si parla per non decidere. Peraltro, traccheggiare così ipocritamente sul Mes indebolisce la posizione negoziale italiana anche su Recovery Fund, di cui il nostro paese sarebbe il maggiore beneficiario. Con che faccia possiamo chiedere più “solidarietà” ai Paesi più riluttanti se mostriamo di disprezzare la solidarietà che già ci è stata concessa?

Questo continuo rinvio delle pronunce del Parlamento sul piano di aiuti europei non dipende solo dalle divisioni interne alla maggioranza, ma anche alle divisioni interne ai singoli partiti, a partire dal Pd e soprattutto dal M5S. Ma questa circostanza non giustifica la strategia del rinvio – a luglio o, come sembra oggi più probabile, a settembre – delle decisioni sul Mes, ma la rende ancora più grave e colpevole. Peraltro, la conseguenza istituzionale di questa prassi è di creare un pessimo precedente, che altre maggioranze torneranno in futuro a usare per scavalcare il Parlamento proprio rispetto alle decisioni democraticamente più sensibili.