Operazione militare speciale
Summit in Libia, scatta la guerra contro le Ong: Meloni accontenta Salvini, morte e deportazione

Nella saga governativa di quella che giustamente è stata definita “la guerra senza senso contro le Ong”, si aggiunge un nuovo capitolo.
Tripoli, 29 dicembre. La vera riunione
La vera riunione, quella operativa, che decreta le conseguenze terribili di questa guerra senza senso, e anche le sue vere vittime, si è tenuta non a Roma, ma a Tripoli, il 29 dicembre. Lo riporta “The Libya Observer” con tanto di foto. Al tavolo, uno di fronte all’altro, gli staff dei ministeri degli interni italiano e libico. La composizione di quello libico annovera fior fiore di personaggi, alcuni dei quali segnalati da tempo da Onu e Tribunale penale Internazionale. Il tema: le strategie per fermare, con ogni mezzo, donne, uomini e bambini prima che possano giungere nelle coste italiane.
Questo è il capitolo che non sarà scritto nella saga. E’ la conseguenza del decreto. Migliaia di persone in più saranno catturate e deportate nei lager libici, oppure affogheranno in un mare tenuto sguarnito di navi di soccorso. Il tutto dovrà avvenire in quella che è chiamata “zona Sar libica”, acque internazionali che il governo vorrebbe trasformare in un’area dove sia possibile violare sia la Convenzione di Amburgo che quella di Ginevra. Una zona di morte. Quanto costerà al governo Meloni accontentare Salvini? 2mila, 3mila morti in più? Diecimila innocenti deportati in più nei lager?
A chi serve la “guerra senza senso”?
Nella saga governativa di quella che giustamente è stata definita “la guerra senza senso contro le Ong”, si aggiunge dunque un nuovo capitolo. E’ senza senso questa guerra soprattutto per i cittadini italiani ed europei chiamati a combatterla dai loro comandanti in capo. Non solo non ne traggono alcun vantaggio, ma rischiano anche di essere portati su quella strada infame della complicità ad un lungo e tragico olocausto degli innocenti, che sarà ricordato come una delle pagine più ingloriose della storia del Mediterraneo. Quel Grande lago di Tiberiade che La Pira e Dossetti immaginavano come mare di pace e invece è divenuto una delle più grandi fosse comuni del pianeta.
La novità ora si chiama “decreto sicurezza”. Nessuna fantasia neppure nei titoli. Sempre quelli, sempre gli stessi, assolutamente in linea con il mondo, e la banalità politica che lo governa, in cui la pace si chiama guerra, la giustizia diseguaglianza e, appunto, l’insicurezza e l’omissione di soccorso diventano sicurezza. Come se far affogare un bambino di tre anni in mezzo al mare o far morire di stenti e privazioni un essere umano dalla pelle più scura della tua in un lager, conferisse “sicurezza” a qualcuno. A chi? Al rider che si scanna tutto il giorno per portare a casa dieci euro? Agli operai dell’Ilva che passeranno il capodanno a sperare di riuscire a pagare le bollette della luce e l’affitto? Ai giovani ricercatori che si preparano ad emigrare da un paese che non li vuole? Sicurezza per chi? Nemmeno per i ricchi sfondati che hanno visto aumentare le loro rendite speculative durante le crisi, dal 2008 ad oggi, mentre il paese si impoveriva. Far morire e torturare degli innocenti non serve a rendere più sicuro nessuno al mondo.
Eppure, si chiamano “decreti sicurezza” e vengono raccontati dalla propaganda di regime come “la difesa dei confini”. Dopo una pandemia globale e in mezzo a scenari di guerra con missili intercontinentali, la “difesa dei confini” ha come punta di diamante la guerra contro gli esseri umani che sono in mezzo al mare su dei barconi scassati e chi tenta di soccorrerli. Basterebbe questo sguardo, capace di togliersi le fette di prosciutto governativo dagli occhi, per disertare la guerra senza senso ordinata dai comandanti in capo di turno. Quando i ricchi e potenti si affannano a convincere i poveri che la causa dei loro mali sono altri poveri, è perché non sanno dare risposte sulla povertà dei molti a fronte della ricchezza di pochi.
L’operazione militare speciale di Piantedosi
Ma a leggerlo bene, questo “libro del potere”, come ogni libro, nasconde tra le righe una storia diversa. Ogni guerra ha la sua propaganda e la prima vittima è la verità, lo sappiamo bene. Proviamo a vederla dal punto di vista degli aggrediti, e non degli invasori. Nel 2018 l’obiettivo del governo di turno erano i “porti chiusi”. Salvini, il prode, quello divenuto poi famoso a livello internazionale per la maglietta di Putin, allora Ministro degli Interni, coadiuvato dal suo fido prefetto Piantedosi, emanava i decreti sicurezza contro le navi del soccorso civile.
Risultato: zero. Le navi si sono moltiplicate, e lui è oggi sotto processo per sequestro di persona aggravato. I porti non sono mai stati chiusi, perché a tenerli aperti ci ha pensato la società civile italiana ed europea, un vero e proprio esercito di disertori che hanno deciso che contro quella aggressione ai diritti umani, sarebbe stata resistenza. Il fido Piantedosi viene promosso, diventa ministro. E cosa fa come primo atto? Mette in scena la “battaglia di Catania”, quella degli “sbarchi selettivi” e del “carico residuale”. Un pugno di medici coraggiosi e disobbedienti, la mobilitazione della società civile e la determinazione dei comandanti e degli equipaggi, la trasforma nella sua Waterloo. L’insipienza politica del suo antico padrone, riesce pure a innescare uno scontro diplomatico, ed è anche Caporetto. Le navi della Civil Fleet europea non solo continuano a resistere, ma avanzano. Si rafforza la flotta, la rete di sostegno si allarga.
E dunque avanti, con lo studio forsennato della strategia, schiere di giuristi e notabili tutti al lavoro per cercare un modo di continuare la guerra senza senso. Un po’ come fa Putin in Ucraina, bombardando le centrali elettriche per far morire di freddo il popolo nemico. E si arriva, dai porti chiusi ai porti lontani. Ritirata strategica, ma per riorganizzare le forze dell’esercito sconfitto e colpire in maniera vigliacca, ma efficace. Così, invece di utilizzare le Convenzioni Internazionali sul soccorso in mare, che hanno come obiettivo renderlo più efficace, organizzarlo nella maniera migliore per salvare più vite possibili, si tenta di snaturarne il senso per decreto. Di stravolgere una legge di rango costituzionale attraverso disposizioni di un governo pro tempore ideologicamente schierato contro di essa e ciò che rappresenta. Questa è “l’operazione militare speciale” del governo Meloni.
Sputtanare chi resiste
Soprattutto in presenza di una resistenza inaspettata ai diktat dell’esercito invasore che credeva di avere ragione facilmente di un popolo, quello della solidarietà e dei diritti degli ultimi, ovviamente la propaganda è l’aspetto fondamentale: lo diceva bene anche Goebbels. E dunque, dopo aver creato il “nemico”, i migranti, e il “pericolo”, l’invasione, bisogna occuparsi di criminalizzare i resistenti. Il “banditi” e “terroristi” con i quali da secoli gli invasori bollano i partigiani di ogni resistenza, si è trasformato in “delinquenti”, “scafisti”, “corrotti”. L’obiettivo di queste campagne mediatiche non cambia né metodi, né sostanza. Si usano “fonti” che per definizione devono essere attendibili, dai servizi segreti a magistrati, intercettazioni, pedinamenti, indagini che durano anni senza nemmeno effettuare un interrogatorio agli indagati, e soprattutto si fa grande lavoro di uffici stampa e velinari.
Come dice Nordio, questo è l’agire tipico di uno stato di polizia. Distruggere la reputazione del nemico per fargli terra bruciata attorno, per isolarlo. Per spaventare chiunque osi avvicinarsi troppo. Il corrispettivo della “denazificazione” dell’Ucraina, è la “deoengizzazione” dell’Italia. Per dare un tono a tutto questo, servono gli scandali. Si usano e si mescolano, tutto fa brodo. Poco importa se poi i processi, come accaduto sempre finora, si risolvono con nulla perché i castelli di carte costruiti dalle spie, crollano. Importante è quello che accade prima, sui giornali e in televisione. Dal teorema dei “taxi del mare” a quello sui “salvataggi per soldi” è sempre la stessa mano, lo stesso antico sporco lavoro, gli stessi “agenti” che appaiono e che quando qualcuno in sedi ufficiali gli chiede “ma lei, a che corpo appartiene?” ti illuminano con “diciamo Presidenza del Consiglio”…
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