Il 2022 visto da chi è presente in ogni area di guerra e in mare con la missione di salvare vite umane. La parola a Rossella Miccio, presidente di Emergency.

Il 2022 visto da Emergency. Che anno è stato?
Un anno difficile, inaspettatamente doloroso perché ci siamo trovati quasi da subito con una guerra in Europa che non avremmo mai pensato. Una guerra guerreggiata di quelle brutte, dove ancora oggi continuano a morire migliaia di persone. Una guerra che è stata affrontata come purtroppo ormai si affrontano questi problemi e cioè chiedendosi quante armi mandare, senza mai soffermarsi su quali potessero essere le azioni diplomatiche vere per fermare la guerra che altro non è che distruzione e morte, soprattutto di civili. E le conseguenze di questa guerra si sono fatte sentire in modo devastante anche nel resto del mondo. Noi lavoriamo in tanti Paesi africani che hanno subito gli effetti della guerra in termini di aumento dei prezzi, di scarsità delle materie prime, a cominciare dal grano che veniva a questi Paesi dall’Ucraina. E tutto questo nell’indifferenza totale. Ci siamo concentrati sempre e solo su noi stessi. Un anno in cui abbiamo visto l’Afghanistan sprofondare nell’oscurità dei talebani e nella dimenticanza di quel mondo occidentale che per vent’anni ha speso miliardi per fare la guerra in quel Paese senza però costruire nulla per dare ad esso un futuro. Ma noi in Afghanistan continuiamo a lavorare. Noi continuiamo ad esserci. Infine abbiamo visto l’ulteriore aggravarsi della crisi nel Mediterraneo legata ai migranti, per la quale abbiamo sentito il bisogno di esserci in prima linea, anche con la nostra nave, la Life Support.

Dall’Afghanistan al Mediterraneo, passando per l’Africa martoriata e dimenticata, come martoriati e dimenticati sono lo Yemen e la Siria. In tutti questi luoghi di guerra e di sofferenza, Emergency c’è. Le chiedo: perché e per chi Emergency è un testimone scomodo?
Fin dalla sua nascita, Emergency si è data un doppio mandato: da un lato, quello di curare le vittime delle guerre, della povertà, delle mine antiuomo, e dall’altro lato di promuovere una cultura di pace. Noi abbiamo sempre pensato che la cura fosse un atto dovuto, che non necessita neanche di essere spiegato o giustificato. Al tempo stesso, siamo sempre stati convinti che non ci si poteva fermare lì e che dovevamo anche testimoniare quello che vediamo e provare a raccontare come secondo noi si potrebbero affrontare problemi in maniera diversa, per cercare di cambiare un po’ le cose. E questo approccio non fa piacere a tutti. Perché nel momento in cui ti dicono che non si possono curare tutti, che non si possono salvare tutti, che non abbiamo risorse per questo, che l’unica soluzione è la guerra, viene visto con fastidio, se non addirittura ostacolato, chi come Emergency, con tutti i limiti che abbiamo, è riuscito in 29 anni a curare, gratis, oltre 12 milioni di persone nel mondo, dimostrando che si può garantire un livello di sanità di eccellenza anche in contesti estremamente disagiati – penso per fare un esempio, al centro di cardiochirurgia nel Sudan – e che le persone che scappano da guerre, disperazione, fame, crisi climatiche, e sono costrette a mettere a rischio la propria vita nel Mediterraneo, queste persone vanno accolte, curate e non rispedite indietro a forza, ecco, chi fa questo viene vissuto da chi ha potere come un testimone scomodo. Le persone che incontriamo, che curiamo, hanno storie di torture di cui noi stessi siamo responsabili. Noi Occidente, noi Europa e, purtroppo, noi Italia. Le sciagurate politiche migratorie, i famigerati accordi con la Libia etc., li abbiamo fatti noi. I grandi produttori di armi stanno qui, non stanno in quei Paesi. Far vedere che un’alternativa c’è dà fastidio. Perché svela che non è un problema di idee ma di scelte e di volontà.

Che Europa è quella che ci lascia il 2022?
Una Europa che non ha un grande futuro. Una Europa che continua a chiudersi su se stessa senza capire che non è agendo così, negando i diritti agli altri, alzando muri, che potrà avere un futuro. Una Europa che rinnega i suoi valori costituenti. Una Europa che però quando ha voluto ha dimostrato che poteva essere inclusiva e solidale. Pensiamo allo sforzo di accoglienza fatto per gli oltre 7 milioni di profughi ucraini. Un messaggio di speranza per tutti. Abbiamo pensato che l’Europa avesse finalmente capito cosa si può e si deve fare. Peccato che abbia deciso di discriminare anche in questa occasione. Profughi di serie A e profughi di serie B. Ma non ci sono guerre di serie A e guerre di serie B. Le vittime delle guerre sono tutte accomunate dallo stesso destino.

Dal salotto mediatico di Bruno Vespa, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando del fenomeno migranti, ha affermato: “Quelli che accogliamo noi sono banalmente quelli che hanno i soldi da dare agli scafisti. Io non credo che questo sia un modo intelligente di gestire l’immigrazione”.
Io credo che non sia un modo intelligente di gestire l’immigrazione costringere persone a indebitarsi, passare mesi in schiavitù per provare a trovare dei soldi con cui pagare dei criminali, che tra l’altro paghiamo anche noi. Questo non è un modo intelligente per gestire il fenomeno migratorio. Quello di pagare gli scafisti non è un privilegio. Inviterei la presidente Meloni a parlare con le persone che attraversano il Mediterraneo magari più volte perché spesso sono catturate, riportate indietro, respinte forzosamente. Nei giorni scorsi siamo arrivati a Livorno e le 142 persone che erano a bordo della Life Support ci hanno raccontato storie terribili, indecenti. Storie di torture, e di abusi di ogni genere che non hanno risparmiato neanche i bambini. Bisognerebbe vergognarsi per ognuna di queste persone. Per loro e per le tante che non ce l’hanno fatta. Nel Mediterraneo ne sono morte quasi 1400, soltanto in questo anno, più di 23mila sono state ricatturate dalla Guardia costiera libica e ricacciate nei lager dai quali avevano cercato di fuggire. Una situazione di cui bisognerebbe vergognarsi e da qui cominciare a capire che vanno trovati altri strumenti, che vanno create delle vie legali per poter affrontare e garantire percorsi migratori dignitosi.

Una nota di ottimismo è data dal mondo solidale, fatto di associazioni, Ong, di cui Emergency è parte significativa. E’ da questo mondo solidale che possiamo trarre speranza per il futuro?
Io spero e credo che di persone perbene ce ne siano tante in tutti gli ambiti. Chi sceglie il mondo della cooperazione e della solidarietà di norma è animato da sentimenti di fratellanza, d’impegno e di rispetto dei diritti umani e dei principi e valori fondamentali che ci accomunano. Mi spiace molto che anche in questi ultimi mesi la parola Ong sia stata vituperata, criminalizzata per l’ennesima volta. Siamo stati definiti “pirati”, collusi con gli scafisti, facendo di tutta un’erba un fascio. Chi commette dei reati, indipendentemente che sia parte di una Ong, di un partito, di una società per azioni, deve rispondere delle proprie azioni. Ma usare strumentalmente alcuni casi, pur gravi, per marchiare d’infamia l’intero mondo solidale – che anche la nostra Costituzione valorizza perché è un modo per i cittadini di esseri attivi e contribuire a migliorare la nostra società – credo che sia un brutto segnale che viene dalla politica e dai media. La società civile organizzata dovrebbe invece essere valorizzata. Il valore aggiunto che il nostro lavoro dà all’Italia e al mondo è davvero tanto. E questo andrebbe riconosciuto, supportato e non ostacolato e criminalizzato.

In una situazione di crisi economica e sociale, come quella che stiamo attraversando, si rafforza l’idea che investire in cooperazione sia un lusso che non ci si può permettere. A chi pensa questo Emergency cosa risponde?
Che si sbaglia di grosso. La cooperazione non solo non è un lusso ma dovrebbe essere parte delle scelte politiche fondanti del nostro Paese e dell’Europa. L’Italia si è impegnata a raggiungere lo 0,70 del nostro Pil in cooperazione allo sviluppo, ma a stento arriviamo allo 0,25. Siamo ancora molto lontani dalla realizzazione d’impegni che potrebbero cambiare davvero la vita di tantissime persone e anche la nostra. Io sono fermamente convinta che tante delle persone che arrivano a bussare alle nostre porte rimarrebbero volentieri a casa loro se ce ne fossero le condizioni. Mi piacerebbe che con la cooperazione ci fosse la stessa determinazione e la stessa velocità di decisione che si è avuta quando si è discusso e votato l’aumento delle spese militari, che nel 2022 ha raggiunto la cifra record di 25,8 miliardi di euro. Sono queste le incongruenze di cui non riesco a capacitarmi. C’è bisogno di coerenza e di onestà intellettuale nell’affrontare questioni che troppo spesso continuano ad essere strumentalizzate e manipolate. Cooperazione vuol dire creare sviluppo, creare condizioni per cui le persone possano vivere la loro vita con dignità, e non far finta di investire in cooperazione e invece finanziare le chiusure dei confini, la militarizzazione delle frontiere esterne cosa che sta succedendo nell’Africa sub sahariana.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.