In Aula al Senato il Ministro Piantedosi ha sostenuto che “sull’immigrazione agiamo con umanità e fermezza: non abbiamo nessuna intenzione di venire meno ai doveri dell’accoglienza, ma in Italia non si entra illegalmente, la selezione non la fanno i trafficanti di esseri umani. Vogliamo governare i flussi anziché subirli. [….] Ci sono 100mila migranti nel sistema di accoglienza e le prefetture segnalano una saturazione dei posti disponibilità e criticità” ed ha infine aggiunto che “nel 2022 si registrano 69mila richieste di asilo, il 56% in più rispetto allo scorso anno”.

Con queste dichiarazioni il Ministro dell’Interno conferma l’esistenza di una realtà molto diversa e opposta rispetto alle conclusioni che propone con ostentata sicurezza. Dai dati forniti da Eurostat (agenzia statistica della Commissione UE) relativi al 2021, e riportati nella tabella qui sotto, risulta con chiara evidenza che, nonostante l’Italia sia un Paese oggettivamente esposto ad un elevato numero di arrivi di richiedenti asilo, la percentuale di richiedenti parametrati alla popolazione è nettamente inferiore alla media europea. È un dato che può sorprendere, ma che dice molto della realtà della situazione italiana, profondamente diversa dal quadro artificialmente allarmistico disegnato dal neo Ministro. Esso è conseguenza di un’autentica fuga di massa dall’Italia da parte dei nuovi arrivati, specie di coloro che hanno qualifiche e competenze, cui si aggiunge quella degli stessi rifugiati che hanno già trascorso un primo periodo in Italia, percepito come luogo ostile dove non c’è spazio per ricostruirsi una vita. In tal modo, del sistema europeo di asilo agli altri stati rimangono i vantaggi (le persone e la loro voglia di riscatto) e all’ottusa Italia rimangono solo i costi (per il soccorso e la prima accoglienza).

Anche guardando il numero assoluto delle domande di asilo presentate nel 2021 (sempre dati Eurostat ) vediamo che l’Italia presenta numeri molto contenuti. La Germania ha avuto 190 domande, la Francia 120mila, la Spagna 69mila, la piccola Austria 38mila e il Belgio 29mila. L’Italia ha avuto 53.134 domande pari all’8% delle domande presentate nella UE. L’aumento che c’è stato nel 2022 non presenta alcun profilo emergenziale. Piantendosi chiama in causa l’accoglienza dei cittadini ucraini quando parla di “sistema di accoglienza nazionale già provato dagli arrivi dall’Ucraina (oltre 172.000 persone) che sono accolte in Italia”. Il Ministro non tiene conto che si tratta di una situazione che ha riguardato tutti i Paesi dell’Unione, ma soprattutto finge di ignorare che (fonte: dossier statistico IDOS) solo l’11% di tutti gli sfollati dall’Ucraina, pari a poco più di 14mila persone, hanno usufruito di un posto di accoglienza fornito dallo Stato in un CAS (centro di accoglienza straordinario) o in una dei progetti dei comuni (SAI). Tutti gli altri si sono sistemati da soli appoggiandosi alla diaspora o a iniziative solidarietà.

Se il sistema di accoglienza italiano non riesce a fare fronte alle esigenze, ciò non è quindi causato da alcuna situazione di presunta ingestibilità degli eventi come Piantedosi, abile affabulatore, vorrebbe far credere, ma è riconducibile a responsabilità tutte interne al sistema italiano. Ogni Paese UE è obbligato a garantire l’accoglienza dei richiedenti (e riceve fondi dall’Unione per fare ciò) ed è tenuto ad attuare una programmazione degli interventi che tenga conto dell’andamento delle domande di asilo in Europa, dei flussi migratori e dei possibili eventi che possono essere ragionevolmente programmati (ovviamente alcuni eventi come la guerra in ucraina non erano preventivabili ma molti altri andamenti delle migrazioni internazionali sono in parte programmabili).

Il D.lgs 142/2015 che regola la materia all’art. 16 prevede che “Il Tavolo di coordinamento nazionale, insediato presso il Ministero dell’interno – Dipartimento per le liberta’ civili e l’immigrazione, predispone annualmente, salva la necessità di un termine più breve, un Piano nazionale per l’accoglienza che, sulla base delle previsioni di arrivo per il periodo considerato, individua il fabbisogno dei posti da destinare alle finalità di accoglienza di cui al presente decreto”. Il medesimo Piano avrebbe lo scopo di attuare una “programmazione degli interventi, ottimizzare il sistema di accoglienza previsto dal presente decreto, compresi i criteri di ripartizione regionale dei posti”. Non si ha notizia di tale Piano, né dei criteri con cui verrebbe redatto, ove esistente. Programmazione è dunque parola ignota. Il neo ministro affronta la problematica del reperimento dei posti di accoglienza da parte delle Prefetture evidenziando che “nell’anno in corso sono state concluse 570 procedure di gara per la contrattualizzazione di oltre 66.000 posti, ma poiché ben 76 gare sono andate deserte, i posti messi a contratto sono stati soltanto poco più di 37.000, pari al 57 per cento del totale programmato”. Il Ministro non si chiede però come mai le gare vadano deserte e non si trovino i posti di accoglienza.

La ragione è da ricercare nell’opera di demolizione del sistema di accoglienza italiano condotta con sistematicità dal 2018 con il suo predecessore ed attuale mentore, sig. Salvini, che ha drasticamente ridotto il sistema di accoglienza (i posti sono scesi dai 135858 del 31 dicembre 2018 agli 83.300 del 31 dicembre 2020 – dati Ministero dell’Interno) imponendo una tale drastica contrazione dei costi di gestione che ha avuto come effetto un abbassamento incredibile degli standard di assistenza. I centri di accoglienza italiani sono stati trasformati in larga parte in semplici depositi di esseri umani controllati da qualche guardiano in strutture degradate e di grandi dimensioni (unica strategia per il contenimento dei costi). Le associazioni e gli enti che perseguivano l’obiettivo di realizzare un’accoglienza di qualità puntando a percorsi di integrazione sociale dei rifugiati e puntando ad un sistema di accoglienza diffusa, ricorrendo a soluzioni abitative ordinarie sono stati spazzati via per fare posto ad enti dichiaratamente profit, che agiscono con logiche economiche di massimo ribasso.