«Se non si semplificano certe procedure e non si assume personale, sia tra i magistrati che nelle cancellerie, la mole di lavoro degli uffici sarà sempre eccessiva e le cause civili avranno sempre più spesso una durata intollerabile»: ne è convinto Antonio Tafuri, civilista presidente del consiglio dell’Ordine degli avvocati di Napoli.

Qual è il grande male della giustizia civile napoletana?
«La carenza di magistrati e personale amministrativo. Il numero dei contenziosi potrà anche diminuire, ma la mole di lavoro per gli uffici resta enorme. La conseguenza sono rinvii troppo lunghi e, quindi, cause troppo lunghe. Il consiglio dell’Ordine ha più volte preso posizione su questo tema che, però, è molto complesso. Servono i concorsi. Sappiamo che è in fase di espletamento il concorso per 8mila amministrativi, speriamo che un numero sufficiente di questi venga destinato agli uffici giudiziari di Napoli e del resto del Sud».

Negli ultimi anni la situazione è peggiorata o migliorata?
«Le difficoltà sono evidenti soprattutto per quanto riguarda i rinvii e determinate materie. Sotto il primo aspetto, capita che tra la chiusura della fase istruttoria di una causa civile e l’udienza di precisazione delle conclusioni passi un anno o addirittura di più. E poi ci sono cause tradizionalmente infinite come quelle in materia di divisioni e successioni ereditarie, contenziosi che richiedono consulenze tecniche, giudizi in materia di rapporti bancari. Però le note positive non sono mancate».

Quali?
«L’accelerazione sul processo telematico ha consentito agli avvocati di prescindere dai cancellieri per il deposito e il ritiro di copie degli atti processuali, oltre che per altre attività. Il che ha ridotto il numero di accessi in cancelleria e la pressione sugli uffici. Gli sforzi per una migliore organizzazione, però, si scontrano con la dura realtà dei fatti che, come abbiamo visto, è caratterizzata da personale insufficiente a fronte della mole di lavoro che gli uffici sono chiamati a sbrigare. Le innovazioni e le modifiche della procedura producono risultati scarsi se mancano le risorse umane e le infrastrutture».

La pandemia da Coronavirus ha peggiorato la situazione dei tribunali napoletani?
«Le note positive non sono mancate. Penso all’introduzione, laddove possibile, di udienze scritte. È il caso dell’udienza di precisazione delle conclusioni e di quelle in Corte d’Appello. In questo modo noi avvocati non siamo stati costretti a recarci in tribunale. E questo sicuramente ha alleggerito il carico di lavoro degli uffici».

Che cosa bisogna fare per fare in modo che la giustizia napoletana, al pari di quella italiana, possa finalmente uscire dal pantano?
«Innanzitutto bisogna assumere un numero tale di magistrati e cancellieri tale da colmare le lacune che caratterizzano le rispettive piante organiche. E poi servono misure in grado di garantire una sburocratizzazione attraverso la semplificazione di alcune procedure. Penso soprattutto al processo esecutivo: a Napoli, spesso, per la conclusione delle esecuzioni immobiliari si attendono quattro o cinque anni che vanno a sommarsi agli altri che sono necessari per la definizione del processo ordinario».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.