Dopo sette mesi di guerra, la pace in Ucraina è ancora lontana. Per comprendere fino in fondo le forme e le radici dell’imperialismo russo, l’appuntamento è con il giornalista russo Tikhon Dzyadko in occasione di “Internazionale a Ferrara”, il festival dell’omonimo settimanale che si terrà nella città estense dal 30 settembre al 2 ottobre, per un weekend di appuntamenti – 160 ore di programmazione, 200 ospiti da 30 paesi, per oltre 110 incontri e 10 workshop – con giornalisti di tutto il mondo. Tikhon Dzyadko – direttore di Dozhd TV channel, l’unica stazione televisiva indipendente russa, presto presa di mira dalle autorità russe in seguito allo scoppio della guerra – interverrà sulle radici del conflitto e della repressione russa oggi venerdì 30 settembre alle ore 14, presso il Teatro Comunale. Il Riformista lo ha intervistato.

Cosa significa per i giovani russi la mobilitazione parziale decretata da Putin?
Per i giovani russi la mobilitazione parziale significa che potrebbero venire uccisi in Ucraina o che potrebbero uccidere qualcuno e la maggior parte di loro non vuole farlo. Per questo stanno lasciando il Paese. Centinaia di migliaia di russi hanno lasciato o stanno cercando di lasciare il Paese, questo significa anche che il famoso contratto sociale tra Putin e la società è stato dissolto. Inizialmente Putin ha rassicurato tutti che il conflitto era solo in Ucraina, ora invece è entrato in tutte le case dei cittadini, di conseguenza la sua posizione è più instabile.

La guerra in Ucraina viene narrata dalla propaganda putiniana come una guerra di difesa dei “fratelli” russofoni ucraini minacciati di genocidio dai “nazisti di Kiev”. Quanta presa fa questa narrazione sull’opinione pubblica russa?
Una parte della società russa crede in questa propaganda, ma penso sia una grande minoranza. La maggioranza dei cittadini è passiva, non pensava fosse una guerra che riguardava loro, ma ora, dopo la mobilitazione parziale, sono costretti ad affrontarla. Allo stesso tempo, non penso credano alla narrazione di questa propaganda.

I vertici del Cremlino minacciano di usare tutte le armi a disposizione, non escluse quelle nucleari, se venissero attaccate quelle regioni dell’Ucraina che con un referendum-farsa avrebbero deciso di far parte della Federazione Russa. Quanto c’è di reale in questa minaccia e perché Putin e la sua cerchia continuano a ventilarla?
Credo che la minaccia nucleare sia l’ultima risorsa che gli sia rimasta. Sta perdendo tutto il resto, sta perdendo la guerra in Ucraina, il suo esercito non è all’altezza, sa che la forza militare che ha è debole perché demotivata, le armi sono vecchie, mentre quelle donate all’Ucraina dai Paesi occidentali sono migliori. Per questo continua ad avanzare la minaccia di una guerra nucleare. Potrebbe succedere, non possiamo escluderlo, perché Putin è ossessionato dall’Ucraina, vede che sta perdendo la guerra, e per vincere gli è rimasto solo questo passo.

Come definirebbe il regime putiniano?
Il regime putiniano ha molti punti in comune con il regime fascista: non ci sono elezioni, non c’è un sistema di giustizia, non c’è libertà di stampa, anche chiamare la guerra con il suo nome è vietato e si potrebbe andare incontro una sentenza di 50 anni di carcere. Quindi questa è a tutti gli effetti una dittatura molto simile al regime fascista. L’informazione indipendente è sempre stata nel mirino del potere. Giornalisti scomodi e coraggiosi – come fu Anna Politovskaja – sono stati assassinati, altri sbattuti in galera e altri ancora costretti all’esilio.

Cosa significa essere giornalista nella Russia di oggi?
È quasi impossibile, per questo centinaia di giornalisti stanno lasciando il Paese, non è più sicuro. I giornalisti ora sono dei criminali in Russia, per questo dobbiamo lavorare dall’estero. Prima era difficile, ora essere un giornalista indipendente in Russia è impossibile. Il governo vede i giornalisti come nemici, come una minaccia.

Cosa si sente di chiedere all’Europa?
Mi aspetto dall’Europa che comprenda che ci sono russi e russi. Ci sono tantissimi russi che non sostengono la guerra, non sostengono Putin e io penso che queste persone dovrebbero essere sostenute dall’Europa, perché sono degli alleati in questa guerra terribile. Dopo la guerra possiamo sederci e parlare di quello che era sbagliato, ma ora credo che queste persone debbano essere supportate e saranno di aiuto nella lotta contro Putin, in tutti i sensi. L’idea di bandire tutta la popolazione russa è sbagliata, l’Europa dovrebbe fare una distinzione tra quelli che sono responsabili per la guerra e quelli che invece non lo sono.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.