Ci ha messo anni e anni e anni il premio Oscar Barry Jenkins a realizzare la serie tratta dal romanzo premio Pulitzer di Colson Whitehead, The Underground Railroad, sul disperato tentativo di fuga per la libertà di Cora Randall nel Sud pre-guerra civile americana. Sarà finalmente disponibile su Amazon Prime Video dal 14 maggio, quest’opera in 10 episodi con protagonista la giovane attrice sudafricana Thuso Mbedu che prossimamente vedremo anche recitare accanto alla premio Oscar Viola Davis in The Woman King di Gina Prince Bythewood. The Underground Railroad vede Cora scappare da una piantagione in Georgia alla ricerca della famigerata “ferrovia sotterranea” (Underground Railroad), quella che Cora scoprirà non essere una mera metafora, ma una vera e propria ferrovia piena di ingegneri e conducenti, e una rete segreta di tunnel e binari sotto il suolo sudista.

Lungo il suo viaggio, Cora è inseguita da Ridgeway (Joel Edgerton), un cacciatore di taglie determinato a riportarla nella piantagione da cui è fuggita; ancor più perché la madre della ragazza, Mabel, è l’unica persona che non sia mai riuscito a catturare. Barry Jenkins, prima ancora di incontrare la stampa in una conferenza zoom mondiale insieme al suo cast, ci tiene a raccontare, nelle sue lunghe note di regia, il percorso che lo ha spinto a realizzare la serie, mentre intanto, nel corso degli anni, dirigeva il suo film premio Oscar Moonlight (quello del colpo di scena con La La Land) e Se la strada potesse parlare.

«Per tutto il mio vissuto scolastico in questo Paese, il tema della schiavitù, ammesso che fosse affrontato, è stato trattato in modo sbrigativo, approssimativo – spiega e prosegue – Non giriamoci attorno: abbiamo bisogno di un memento degli orrori della schiavitù americana? È eticamente e moralmente corretto forgiarne uno? Se sì, perché?». Si risponde pensando al lavoro fatto da Spielberg per ricordare il genocidio degli ebrei con Schindler’s list e si pone lo stesso obiettivo, portando sullo schermo il libro di Colson. Barry Jenkins inizia poi l’incontro proprio approfondendo le sue ragioni: «Credo che Colson abbia creato la grande opportunità di ri-contestualizzare la storia dei nostri antenati concentrando l’attenzione su questa giovane donna, Cora. Guardi lo show e vedi una versione della storia che forse non avevi visto e ti fai un’idea, per 10 episodi, della condizione degli schiavi d’America. Ma in più vedi anche una donna che sta cercando di riscattarsi e di far pace con quel senso di abbandono che si è sempre portata addosso dopo la fuga della madre. La protagonista, senza veramente sapere esattamente cosa la madre ha dovuto vivere, scopre le sue stesse sofferenze e si trova a comprendere il percorso di vita della mamma grazie al viaggio che lei stessa ha intrapreso per sé», spiega il regista.

Quello di Cora è un percorso di lotta per cercare di crearsi una vita che non aveva mai neppure creduto possibile. A raccontare il suo avvicinarsi al personaggio, Thuso Mbedu: «Quando ho saputo dell’audizione ero molto eccitata perché sarebbe stata la mia prima audizione internazionale. Ho registrato il selftape del provino e poi una sera ho avuto la chiamata per un nuovo provino in persona. Barry voleva incontrarmi». «Quando l’ho incontrato – prosegue – ho saputo che lo show si basava su di un libro che ho voluto poi leggere e una volta letto, ho pensato che il progetto era di gran lunga più grande di quel che pensavo. Era una storia importante che sarei stata felice di raccontare ma mi sono chiesta se avessi ciò che serviva per farlo. Ho pensato di fare del mio meglio. Il resto sarebbe stato nelle mani di Dio. Il resto sarebbe stato nelle mani di Barry», conclude solenne Mbedu.

Non sarà difficile per lo spettatore, non appena si confronterà con i primi episodi della serie, constatare quanto la serie alterni, per citare lo stesso Jenkins, immagini crude ad altre più discrete ma altrettanto significative. Una dura prova per i suoi attori a cui Jenkins ha sempre lasciato molta libertà di gestire il dolore nel replicare avvenimenti storici indimenticabili: «Credo che tutti sapessero che avevano la libertà di valutare autonomamente in che punto stavano raggiungendo il loro limite di sopportazione rispetto alla scena che gli stavo chiedendo di fare. Quel punto in cui non sarebbe valsa la pena distruggersi nel processo di replicare un evento o avvenimento così distruttivo e doloroso. Dalla scena più cruenta a quella peggiore di tutte, credo che tutti sapessero che se volevano una via d’uscita da quella situazione, bastava chiedere e ci saremmo fermati», chiarisce il premio Oscar.

A proposito di attori, Joel Edgerton, a sua volta anche regista e sceneggiatore, ammette di aver in qualche modo stalkerato Jenkins per ottenere la parte di Ridgeway: «In effetti sì, ho inseguito Barry. Ho fatto un po’ come quando ero giovane e rincorrevo i progetti. Non che con la mezza età io sia diventato pigro però diciamo che mi ha ricordato l’entusiasmo degli inizi. E sono molto felice di aver avuto il coraggio di mettere il mio ego da parte e dire a Barry “ciao, mi piacerebbe tanto far parte di questo tuo progetto, mi ci sento adatto”.

La Underground Railroad è qualcosa che non è mai esistita ma che era stata la via d’uscita mentale e metaforica di tanti schiavi e Jenkins ricorda di averla immaginata da piccolo, chiaramente: «C’è sempre qualcosa della nostra infanzia che rimane con noi e che continuiamo a rincorrere. Ricordo la prima volta che ho sentito l’espressione Underground railroad. Ho immaginato persone nere viaggiare sui treni nei sotterranei. Ero sicuro fosse tutto vero perché quando sei un bambino, le cose sono reali, non esistono le cose impossibili o che non si possono realizzare. E così ho voluto appoggiarmi a questo sentimento infantile e incontaminato, come mi piace descriverlo, e il simbolismo e il surrealismo che vedrete nello show proviene da una serie di simboli della mia infanzia: i rituali a cui i nostri antenati tenevano nonostante la dura vita che vivevano».