Ne avrebbe tante da dire, Silvio Berlusconi, soprattutto se si ritrova a colloquio con Repubblica, il quotidiano delle dieci domande, ripetute e ribadite a raffica. Vasto programma. Ma si contiene. E non perché è Natale, e l’intervista si apre con l’immagine del patriarca e la sua famiglia, un po’ da presepe. Ma perché lui è fatto così. Il rientro al Senato dopo i lunghi tempi dell’interdizione e l’assistenza sociale in affidamento alla Sacra Famiglia gli suscitano risentimento? Solo un moto dell’animo: “…non posso negare che riprendere la parola in senato dopo tanti anni mi ha anche profondamente commosso”.

Programmi politici di riforma? “Penso alla riforma della giustizia, sulla quale il ministro Nordio ha dato indicazioni basate su una solida cultura garantista che è anche la nostra”. Non è l’argomento forte dell’intervista, su cui già tanto stanno commentando tv e social, perché quando parla il leader di Forza Italia puoi star sicuro che la notizia c’è. Ma pare ininfluente che nella manovra di bilancio abbiano trovato spazio due antichi cavalli di battaglia dell’ex presidente del consiglio, come l’aumento delle pensioni minime (con l’ambizione di portarle fino a mille euro) e la decontribuzione per l’assunzione dei giovani con nuovi contratti a tempo indeterminato. Quando c’è di mezzo Berlusconi la reazione è di tipo pavloviano, automatico, occorre abbinargli subito la parola “giustizia”, a volte buttata lì quasi fosse una parolaccia. Per quotidiani come la Repubblica delle dieci domande è d’obbligo tradurre una semplice frase come “penso alla riforma della giustizia” nel titolo “Bene la manovra, ora voglio la riforma della giustizia”.

Quel “voglio” che lui non ha mai pronunciato. Quasi come se avesse detto che la legge finanziaria è questione secondaria, e quel che conta adesso è buttar giù qualche legge “ad personam”, come piace al quotidiano delle dieci domande chiamare le riforme sulla giustizia. Quasi una minaccia alla Presidente del consiglio Giorgia Meloni, da parte di colui che non fa mistero del fatto di ammirare il nuovo guardasigilli non scelto da lui. Quello che in altra pagina dello stesso quotidiano viene definito “garantista della domenica”, proprio dalla giornalista nel cui vocabolario quell’attributo è stato cancellato prima ancora di esser stato scritto.

Ma è Carlo Nordio il nuovo bersaglio del partito delle dieci domande. Che cosa di meglio allora, dopo che il pm genovese Francesco Pinto lo ha accusato di aver rispolverato “il vecchio repertorio della P2”, se non accomunarlo negli intenti e nei progetti di riforma a Silvio Berlusconi? E contrapporlo paradossalmente a colei che lo ha voluto negli uffici di via Arenula anche quando il fondatore di Forza Italia ancora insisteva su Elisabetta Casellati? Poco importa che il pensiero del ministro di giustizia sia stato espresso nel corso degli anni con articoli, libri e interviste che non saranno sfuggiti all’attenzione di Giorgia Meloni prima di effettuare la scelta del guardasigilli. E ancor meno importa, a quanto pare, il fatto che il programma di riforme sulla giustizia di Silvio Berlusconi sia nato ben prima delle indagini che lo hanno coinvolto e che lo tengono ancora appeso alle incognite di qualche esito processuale.

Così, sarà perché a Natale a volte si gioca a tombola, a quei goliardi del Fatto è venuto in mente di prenderla alla larga e di mettere in piedi una sorta di tombola sui ministri, anzi un vero gioco delle freccette. Tirate, tirate, dicono ai loro lettori, e colpite al petto il guardasigilli che vi fa più schifo. I prescelti per la finale sono sei e non ce ne è neanche uno di sinistra. Su ogni nome c’è l’impronta digitale di Marco Travaglio, quasi gli avessero fatto dispetti personali. Porta rancore a Giovanni Conso, illustre giurista e persona per bene, e lo insulta dicendo una falsità sul mancato rinnovo di alcuni 41-bis che è stata smentita nel processo “Trattativa”.

Altre bugie sul ministro Alfredo Biondi e il famoso decreto sulla custodia cautelare, che non era affatto riservato ai reati contro la pubblica amministrazione, ma che ha avuto il merito di smascherare l’inutilità di certi arresti, tanto che quando il provvedimento fu ritirato, meno del 10% delle persone scarcerate fu di nuovo arrestata. Ce ne è per Castelli e Alfano, naturalmente. Ma non viene risparmiata l’ex ministra Marta Cartabia, che ha due colpe fondamentali, quella di essere una donna (che Travaglio con la consueta volgarità è arrivato a definire “Guardagingilli”) e anche quella di aver fatto parte del governo che ha tolto la poltrona al cocchino Giuseppe. Ora votate, disinformati lettori del Fatto.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.