Come spiega, con massima ironia, David Foster Wallace nel racconto ‘Una cosa divertente che non farò mai più’, la vita da turista su una nave da crociera può essere davvero difficile. Ne sanno qualcosa i naviganti folli, viziati ma soprattutto ricchi sfondati, protagonisti del film Triangle of Sadness (Il triangolo della tristezza) del regista svedese Ruben Östlund. Come nel precedente The Square (Palma d’Oro nel 2017), il talentuoso autore allestisce una lotta di classe che, a suo avviso, non è fuori tempo massimo della Storia.

Ugualmente amaro, rispetto al precedente questo film spinge più sul tasto della commedia e del grottesco. Così a una prima visione, Triangle of Sadness soprattutto diverte. Vorrebbe fare anche riflettere? In un successivo momento, magari.
Il risultato è un affrescone di due ore e mezza (comunque troppe), intelligente e di bel ritmo, con momenti di vertice. Come la gara di citazioni e rimandi, ad altissima gradazione alcolica, tra il comandante americano marxista Woody Harrelson (sempre un piacere) e un oligarca russo. I due si rimpallano frasi di John e Bobby Kennedy, Lenin, Regan e Marx, con tutto ciò che ne consegue. E la quotidiana cronaca è per nulla avara di spunti.

La lunga, cruciale scena del maremoto è una meraviglia. Si astengano i deboli di stomaco. Östlund gira talmente bene, che un po’ di mal di mare può essere avvertito anche in sala. Ma qui a Cannes si avvertono di più gli applausi, tanti, e le risate fra il pubblico. Peccato che Triangle of Sadness poggi la sua bella scrittura, a firma dello stesso regista, su un soggetto non proprio di primissima mano. Da Selvaggi dei Vanzina (a volere esagerare) fino al premio Oscar Parasite (senza esagerare). Ma in questo caso, la storia della Palma non dovrebbe ripetersi.

Si ripete invece la triste vicenda di attori scomparsi troppo giovani che rivivono, a collettiva fruizione del pubblico, nei loro film postumi. Gaspard Ulliel, morto a 37 anni lo scorso gennaio per un incidente sugli sci, è protagonista insieme a Vicky Krieps di Plus que jamais della francese Emily Atef. Presentato nella sezione Un Certain Regard è un film sul pre-lutto e la sua elaborazione. Visto che lei (bravissima Krieps) è gravemente malata e lui (intenso Ulliel, nel ruolo del marito) non può farsene una ragione. Con qualche lentezza, Plus que jamais funziona anche grazie agli splendidi paesaggi norvegesi, che accolgono la donna in fuga dalla città. La regista agisce con sobrietà, non scivola nel lacrima movie. Ma quando gli applausi, sui titoli di coda accolgono il nome di Gaspard Ulliel, il ciglio si bagna.