“Mio fratello non si è ucciso, ne sono certa, me l’hanno ammazzato in carcere. E poi hanno trattato la salma come quella di un cane”. Il cuore di Concetta Esposito è straziato dal dolore per la morte di suo fratello Salvatore Luongo, morto in carcere a Benevento la sera del 20 ottobre. La famiglia si dispera mentre aspetta da tre giorni fuori all’ospedale di Giugliano. Si sono riunite lì tutte le donne della famiglia, le sorelle, la mamma, le zie, le cugine, per darsi forza in attesa dell’esito dell’autopsia che chiarirà le circostanze della morte di Salvatore ancora avvolte nel mistero. Certo è che un giovane di 22 anni è morto all’interno di un carcere.

Dal primo momento alla famiglia è stato detto che Salvatore si era suicidato impiccandosi nella sua cella. “Non avrebbe mai fatto una cosa del genere – dice Concetta tra le lacrime – Lui era un ragazzo forte. Poi il 20 pomeriggio ci siamo sentiti al telefono: abbiamo parlato e scherzato. Mi ha detto che nella sua cella c’era un bulgaro che lo guardava male senza parlare. Salvatore ne aveva timore. Aveva anche chiesto di cambiare cella”. Salvatore era detenuto dal 2016 al carcere di Brindisi. Era momentaneamente stato trasferito in quello di Benevento per consentirgli di prendere parte a un’udienza. Si trovava lì da due giorni ma aveva raccontato alla famiglia di essersi trovato bene lì tanto da voler chiedere il trasferimento.

“Dopo averlo sentito al telefono ero serena quel giorno – continua Concetta – poi alle 23 ho ricevuto una telefonata da un numero anonimo. Mi dicevano che Salvatore era morto, che si era impiccato. Io non ci potevo credere. Mi hanno detto anche che la sera stessa la sua salma sarebbe stata portata all’ospedale Sangiuliano di Giugliano. Non sapevano dirmi nient’altro. Allora con la mia famiglia abbiamo iniziato a chiamare in continuazione al carcere per capire cosa fosse successo ma nessuno ci rispondeva. Siamo andati all’ospedale e la salma non c’era. Poi qualcuno ci ha risposto al telefono al numero del carcere e ci ha detto che forse ci avevano fatto uno scherzo perchè mio fratello era nella sua cella e stava bene. Così stavamo per andare via quando abbiamo visto arrivare un carro funebre”.

“Ci siamo avvicinati al carro e abbiamo chiesto di chi fosse la salma – continua il racconto Rubina Vincolo, zia di Salvatore – Gli autisti non lo sapevano. E non sapevano niente nemmeno all’ospedale: nessuno gli aveva detto che stava arrivando una salma da Benevento. Siamo rimasti fino alle 4 del mattino intorno alla bara senza sapere cosa fare e senza che nessuno ci dicesse cosa fare. Nemmeno i carabinieri sapevano”.

“Possibile mai che un ragazzo che ci hanno detto essere morto in carcere a Benevento intorno alle 21, tre ore dopo sta già in obitorio a Napoli e nessuno sa niente? – dice Concetta – Non ce lo hanno nemmeno fatto riconoscere. Non c’è nemmeno una foto o una dichiarazione del carcere che dica cosa è successo. Volevano solo sbarazzarsene e sviare le indagini? Ci hanno detto che Salvatore è stato trovato morto con la cella aperta, un detenuto ha anche provato a salvarlo facendogli la respirazione bocca a bocca. Dove stava la polizia, perchè nessuno sa niente o ha visto niente?”

Intanto la famiglia Luongo aspetta il risultato dell’autopsia anche se crede poco all’ipotesi del suicidio: “Al telefono mi aveva chiesto di portargli soldi e vestiti puliti e voleva sapere quando sarei andata a trovarlo. Uno che pensa di uccidersi qualche ora dopo chiede questo?”. E fa un appello a tutti i detenuti: “Voi detenuti dite la verità, non vi nascondete, perchè voi potete essere le prossime vittime. Com’è stato fatto a mio fratello lo fanno anche a voi. Vi prego se sapete qualcosa su mio fratello ditecelo anche in maniera anonima. Scriveteci una lettera per dirci com’è stato ammazzato mio fratello. Vi prego aiutateci! Io voglio la verità su mio fratello, mi devono dire perchè è morto. Noi non ci fermiamo finchè non sappiamo la verità”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.