Eraldo Affinati il mondo della scuola e degli “ultimi” lo conosce per esperienza diretta. Da insegnante e scrittore. Tra i suoi tanti libri di successo, ricordiamo Il vangelo degli angeli (Harper Collins); L’uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani (Mondadori); Tutti i nomi del mondo (Mondadori); Il sogno di un’altra scuola. Don Lorenzo Milani raccontato ai ragazzi (Piemme). Da maestro, Affinati dà un voto al ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Valditara: zero spaccato. E a Il Riformista spiega il perché.

Dice il ministro Valditara: l’umiliazione è un fattore fondamentale di crescita. A lei la parola.
Dopo quarant’anni d’insegnamento negli istituti professionali, prima, a contatto con i ragazzi di borgata romani, e adesso con gli immigrati nelle scuole Penny Wirton, una dichiarazione come questa mi lascia stupefatto, basito. Credo che ogni docente, ogni maestro, sappia perfettamente che l’ultima cosa che dovrebbe fare è mortificare un suo studente, non dandogli la possibilità di crescita, soprattutto quando ha sbagliato. Quando lo studente va bene non c’è niente da dire. Ma quando sbaglia, beh, è proprio quello il momento in cui tu non lo devi umiliare, che non lo devi lasciare da solo. È proprio quello il momento in cui gli devi stare vicino. Attenzione, però: questo non significa che devi essere “buono”, perché è questo poi il fraintendimento. Tu, come docente, devi incarnare il limite che il ragazzo non deve superare – questo è sicuro – lo devi responsabilizzare, gli devi far sentire che ha davanti un maestro, una figura adulta, ma al tempo stesso gli devi sempre lasciare una via di fuga, non lo devi umiliare. L’umiliazione è la cosa peggiore. Un secolo di insegnamenti e lezioni dei grandi educatori sembra essere trascorso invano di fronte a una frase come questa. Tutti i grandi educatori, da Maria Montessori a don Lorenzo Milani, ci hanno spiegato che non bisogna fare così.

Altra “perla” dello scoppiettante ministro dell’Istruzione: immorale il reddito di cittadinanza a chi non completa l’obbligo scolastico.
Anche questa è dura da accettare. Il reddito di cittadinanza viene dato proprio ai più fragili, a chi non è riuscito a completare non solo la scuola ma anche il suo progetto di vita. Viene dato proprio a chi non ce l’ha fatta. Togliere questo reddito, significa recidere ogni speranza, e andare verso un sistema punitivo. Verso un sistema di sanzioni, di logiche giuridiche, e non verso la comprensione dell’imperfezione, della fragilità altrui.

Dalle norme anti-rave al considerare i migranti come cose, neanche persone, residuali, fino alle uscite del ministro della Pubblica Istruzione. In tutto questo non c’è un forte valore simbolico di una destra dai marcati tratti identitari reazionari?
Direi proprio di sì. Tutti questi sono richiami identitari che connotano una destra che noi pensavamo ormai superata o comunque residuale. Non una destra liberale ma, appunto, una destra reazionaria. Adesso bisogna capire che impatto reale possano avere richiami del genere. Io comincio a vedere sulla scuola un impatto preoccupante, inquietante. Fin quando fai una dichiarazione teorica, ok, però quando poi metti in pratica certi teoremi, togli il reddito di cittadinanza, invochi i lavori socialmente utili trasformando la scuola in un tribunale…quando fai questo allora c’è davvero da preoccuparsi. In tutto questo, però, c’è anche una nota positiva…

Quale sarebbe?
Queste uscite reazionarie ci aiutano a capire la nostra posizione. E se aiutare è un verbo eccessivo, diciamo che ci costringono a mettere a fuoco una nostra posizione. In qualche modo ci aiuta a mettere insieme i pezzi della sinistra. Ci aiuta nel senso che quello che noi davamo per scontato, scontato non lo era, evidentemente. Gli attuali governanti sembrano essere maggioritari nel Paese, per lo meno sulla base di questa legge elettorale.

Con il ministro Valditara avevamo iniziato e con lui concludiamo. È davvero un’impresa stare al passo con le sue esternazioni a raffica. L’ultima in ordine di tempo è la seguente: stop ai cellulari durante le ore di lezione.
Sulla carta sembrerebbe una richiesta ragionevole, accettabile. Nel senso che i ragazzi non si devono distrarre usando il cellulare in aula. Il problema è che in molte aule italiane, il cellulare viene usato didatticamente. Gli smartphone vengono usati dai docenti per fare azioni didattiche. Questo consente agli insegnanti di uscire dal sistema della vecchia scuola ottocentesca dove c’è il professore da solo che parla di fronte alla classe. Dipende dall’uso che ne fai del cellulare. Se tu lo metti a frutto può essere utile. Se invece lasci il ragazzo da solo immerso nelle chat mentre tu spieghi, questo non va bene, è evidente. Anche in questo caso bisogna contestualizzare. Non bisogna dire: “cellulare sì, cellulare no”. Dipende dall’uso che ne fai.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.