Prima è stata Michela Murgia ad affermare, riferendosi al Commissario del Governo per l’emergenza Covid, generale Francesco Figliuolo: «A me spaventa un commissario che gira con la divisa, non ne ho mai subìto il fascino. Non mi sento più al sicuro, ci spaventa di più». Questa presa di posizione, criticata da molti invocando i meriti civili dell’esercito, è stata condivisa, tra gli altri, da Luca Bottura su l’Espresso, «ritengo che l’esercito a commissariare lo Stato, beh, meglio di no. «Ma se proprio si deve, sarebbe meglio avere l’accortezza di farlo in borghese. Perché Figliuolo non ha dichiarato guerra alla Kamchatka: sta distribuendo vaccini. E siccome svolge un compito da civile, potrebbe vestirsi di conseguenza». Da ultimo è stato Vincenzo De Luca ad attaccare il Commissario di Governo per l’emergenza Covid-19, dichiarando: «Non si presenti con la divisa militare perché sta lavorando da civile. Con quella divisa addosso si rischia di esporre le Forze Armate a polemiche sulla questione del piano vaccini». Folklore? Polemica politica spicciola destinata all’oblio immediato?

In realtà la questione è, al di là delle intenzioni e della prospettiva di chi l’ha sollevata, particolarmente delicata e complessa. La nomina del generale Figliuolo fa seguito, difatti, ad un ennesimo e grave fallimento della politica. Essa non ha corrisposto ad un ordinario turn over determinato dal cambio di Governo, ma alla necessità di cambiare marcia rispetto a una gestione precedente a dir poco fallimentare: presidi sanitari, poi risultati inadeguati e in alcuni casi addirittura pericolosi, comprati a caro prezzo, con provvigioni stellari per improvvisati mediatori; banchi a rotelle risultati utili solo ad alimentare la satira; un piano vaccinale del tutto inadeguato, perfettamente idoneo a consentire il salto della fila ai più furbi. Né la vicenda può essere archiviata come una ennesima manifestazione di inefficienza della Pubblica Amministrazione. Era sotto gli occhi di tutti, difatti, la circostanza che la struttura commissariale fosse una diretta emanazione del Governo in carica in quel momento. Neppure quella manifesta inadeguatezza può essere addossata al Movimento 5 Stelle e alla sua assoluta inesperienza.

Quel Governo, difatti, si reggeva con il contributo determinante dell’unico partito di sistema, oggi esistente, e cioè il Partito democratico. Il vertice della struttura commissariale aveva il proprio riferimento in quel Giuseppe Conte, che il Partito Democratico considerava punto di riferimento dei riformisti e perno dell’alleanza strategica con il Movimento 5 Stelle. Il Ministero di riferimento, e cioè quello della Sanità, vedeva (e vede) al vertice un uomo espresso dalla nomenklatura dei fuoriusciti dal Partito Democratico. Del resto, è inevitabile inquadrare la inadeguatezza della struttura commissariale in un quadro più ampio segnato, per fare degli esempi, dalla molto poco edificante storia della scomparsa del rapporto Oms sull’Italia o dalla tragicomica vicenda del libro scritto dal Ministro per autocelebrarsi e precipitosamente ritirato dalle librerie.

La necessità, dunque, di sostituire i vertici della struttura commissariale con la nomina del generale Figliuolo è stata determinata da un fallimento della politica e non da un fenomeno, anche se purtroppo ormai abituale, di inefficienza burocratica. Se così stanno le cose, quella nomina è espressione della supplenza, che sta segnando sempre di più la vita della Repubblica. Per limitarsi alle Forze Armate, basta considerare le volte in cui, sempre per ovviare in modo emergenziale alle carenze dello Stato, hanno svolto compiti decisivi nel campo della protezione civile e addirittura dell’ordine pubblico. Il fenomeno della supplenza, noto ed ampiamente studiato rispetto alla invasione di campo che la magistratura ha compiuto (e spesso è stata costretta a compiere) di fronte all’inadeguatezza del Legislatore ed alla inefficienza della Pubblica Amministrazione, ha subito una espansione a seguito della pandemia: un banchiere è stato chiamato al ruolo di Presidente del Consiglio e un generale a quello di Commissario all’emergenza Covid. L’uno e l’altro chiamati per ovviare alla incapacità della politica di affrontare la pandemia. L’uno e l’altro di sicura fede democratica, ma certamente non espressione della classe politica.

Ebbene, di fronte a questa situazione la politica come sta reagendo? Purtroppo, molti protagonisti continuano a non mostrare alcuna capacità di essere aderenti ai valori ed ai contenuti di una politica alta. Da un lato basta considerare la modestia di alcune reazioni al video di Grillo, nell’evidente preoccupazione di non compromettere una alleanza, che evidentemente viene prima di tutto. Dall’altro va sottolineata la violenza con cui è stato attaccato il compromesso, certamente criticabile, in ordine all’orario del coprifuoco, senza tener conto che il paese è ormai molto fragile e che ogni polemica fuori misura rischia di mandarlo in frantumi.

Se le cose stanno così, è bene che il generale Figliuolo continui a vestire la divisa anche nel suo ruolo di Commissario per l’emergenza. Quella divisa, proprio per la sua visibilità, è utile per segnalare alla politica la necessità che recuperi al più presto la sua dignità, mostrandosi adeguata al compito di guidare il paese. Far vestire al generale Figliuolo gli abiti civili significherebbe tentare, ancora una volta, di nascondere la polvere sotto il tappeto, favorendo il tentativo di molti esponenti politici di continuare a sottrarsi alle proprie responsabilità.