Gli Stati nazionali sono importanti, in certi momenti decisivi, ma oggi solo perché fanno parte di una Unione che ha preso nome dall’Europa. Immaginiamoli per un solo momento ognuno per conto proprio, in un mondo globale e caotico e ci rendiamo conto delle terribili e sconclusionate entropie che nascerebbero, con la buona pace degli incolti sovranisti. Tra l’altro, all’interno di questi Stati, le grandi tradizioni culturali e politiche, sono andate in frantumi, e non possono più formare un terreno solido costituente, mi è capitato di osservarlo per l’estinzione del movimento operaio, ma il discorso potrebbe estendersi ad altre aggregazioni una volta assai forti.

Dunque, il riferimento sovranazionale europeo diventa decisivo, ma è a un tempo assai problematico, ecco il tema che vorrei sfiorare. Certo, l’Europa si è mossa bene nel tempo della pandemia, accogliendo per la prima volta, in modo per ora limitato, il principio del debito comune, ma se c’è bisogno di un flagello terribile perché avvenga questo, magari con una decisione ritirata a crisi conclusa, allora poveri noi. Se l’Europa non cambia marcia, e se si aggiunge la patente insufficienza degli Stati, allora è davvero fondato il presagio di una crisi dell’Occidente, di cui l’Europa è parte decisiva. Ritorna in auge Spengler con il suo Tramonto dell’Occidente anche per un’altra ragione, del tutto visibile: l’irrompere di geo-politiche aspre che si affacciano dall’interno della globalizzazione in crisi, con l’Asia e l’euro-Asia all’attacco. Per questo insieme di ragioni, o l’Europa conquista una sua unità politica, che non può non comprenderne altre, o essa è avviata all’emarginazione, riproponendo in forma più drammatica il ritorno, per forza di cose opaco e inefficace, all’esclusività degli Stati.

Che fare? Si dà una occasione: è in corso la Conferenza generale sulla architettura dell’Unione, che prevede pure la possibilità di riforma dei Trattati, per ora nella indifferenza dei più e, pare, degli stessi protagonisti. Io credo che in quella sede si debba incominciare a riflettere su un tema centrale, forse decisivo per il destino di Europa: l’Unione europea non può continuare a camminare verso una meta, tutti e 27 insieme. Ormai la cosa è patente. La frantumazione su temi decisivi avanza. Inutile fare esempi, basti pensare ai contrasti sullo Stato di diritto che emerge nel rapporto con gli Stati dell’Est-Europa per ragioni che qui non è possibile approfondire, ma che si possono intuire. Ma anche sulla economia e sul debito sovrano avanzano, aspri, i contrasti.

E allora? Sembra necessario che si debba andare in una direzione difficilissima, ma inevitabile per impedire la progressiva emarginazione dell’Europa dalla sostanza dei problemi mondiali: l’uso della “cooperazione rafforzata” spinta oltre i suoi limiti attuali. Cooperazione tra quegli Stati disponibili ad andare verso l’Unione politica, indispensabili Germania, Italia, Francia, Spagna, con legami “sempre più stretti”, e quelli che non sono disponibili a muoversi in questa direzione, con i quali si può stabilire un legame di associazione più limitato. Un percorso ai limiti del possibile, e forse oltre di essi, ma senza il quale si oscura tutta la prospettiva per la duplice insufficienza che si delinea: quella degli Stati, per le ragioni accennate, e quella dell’Unione inesorabilmente divisa. E torna Spengler con il tramonto dell’Occidente, o almeno dell’Europa. anche se l’America non è che stia benissimo, con la Cina e la Russia all’attacco, ma qui fermiamo la nostra riflessione per evitare l’accusa di catastrofismo.

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