"L'assoluzione è una vittoria per lo Stato"
Vitelli, il giudice che ha assolto Stasi: “Il ragionevole dubbio e cosa significa ‘meglio un colpevole fuori che un innocente dentro’. Pensate ad Alberto e capirete”

Il dott. Stefano Vitelli è stato il giudice che ha assolto Alberto Stasi nel primo grado di giudizio, sentenza confermata dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano ed annullata dalla Corte di Cassazione che ha rinviato ad altra sezione della Corte d’Assise d’Appello. Non intendiamo qui replicare un “simulacro” del processo già celebrato, anche perché le indagini in corso potrebbero incidere sul “giudicato” che vede oggi Alberto Stasi condannato per omicidio. Preferiamo, invece, prendere le mosse da questo caso giudiziario per fare delle riflessioni sul ruolo del giudice e sui criteri che disciplinano la sua decisione. Il criterio del “ragionevole dubbio”, che impone al giudice di assolvere, è una “formula di stile” che serve a giustificare le condanne o un principio vivente che deve “inchiodare” il giudice alla sua coscienza e alle sue responsabilità?
È sicuramente un principio giuridico “vivente”, come ho detto in più occasioni. Prima ancora che un principio giuridico, secondo me, è un principio culturale ed etico. Nei casi di concreta incertezza, ovviamente dopo aver approfondito in maniera scrupolosa e attenta tutto il materiale istruttorio, il giudice deve assolvere, con il rischio di avere un colpevole fuori ma così evitare un altro rischio, intollerabile per uno Stato liberaldemocratico, di avere un innocente dentro.
L’assoluzione è una sconfitta per lo Stato?
No, anzi, è una vittoria. È una vittoria di uno Stato liberaldemocratico, virtuoso, che conosce i propri limiti, che sa che la verità assoluta non è di questo mondo. Ho scritto un piccolissimo contributo a cui tengo molto (“Il saggio contadino cinese e il giudice del ragionevole dubbio”, giurisprudenza penale web, 2025, ndr). È la parabola di un contadino che deve aiutare a far crescere la pianta, pulire, annaffiare, ma non deve forzare il processo di crescita. Un giudice che alla fine di uno scrupoloso, attento e non inerte processo di verifica dell’ipotesi accusatoria giunga a dire “la pianta è cresciuta” e l’imputato è da assolvere è un po’ come il contadino cinese che alla fine fa crescere la pianta con scrupolo e attenzione, sfruttando il potenziale della natura, però rispettando ciò che la natura gli ha consentito di fare. Ecco, in questo senso profondo ritengo, quasi paradossalmente, che il ragionevole dubbio non è una sconfitta ma è proprio una vittoria.
Il giudice che assolve può indicare ipotesi investigative alternative o così facendo rischia di esercitare poteri istruttori tipici di un sistema inquisitorio?
Il giudice deve essere terzo. Non deve avere un’intuizione della verità ed utilizzare il processo, seppure in buona fede, per avere conferma della propria ipotesi. Non sarebbe più un giudice terzo. Non deve però nemmeno essere inerte e deve vedere se ci sono delle lacune istruttorie. Deve garantire che il processo venga svolto in maniera corretta, per esempio nella conduzione dell’esame e controesame dei testimoni. È un delicato equilibrio, che poi è l’equilibrio a cui si riferisce Mencio, filosofo cinese aderente al confucianesimo e autore del racconto a cui ho fatto riferimento prima. Il giudice non deve essere un contadino che estirpa i semi ma nemmeno essere un contadino inerte che non annaffia e non pulisce la terra. Sarebbe una passività non virtuosa.
Contro la “doppia conforme” assolutoria (Alberto Stasi è stato assolto in primo grado e in appello) il pubblico ministero propose ricorso per Cassazione. Sei motivi, tutti di denuncia del vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Se quel processo fosse stato celebrato qualche anno dopo, con la riforma del 2017, il pubblico ministero ai sensi dell’art. 608 comma 1 bis c.p.p. non avrebbe potuto fare ricorso per Cassazione e la sentenza di assoluzione sarebbe divenuta irrevocabile. Non le pare un paradosso o comunque uno scherzo del destino?
Mi piace dire questo, anche alla luce delle recenti polemiche che sono sorte dalle mie dichiarazioni e da un commento del Ministro della Giustizia. Sicuramente lo strumento della doppia conforme è uno strumento che il legislatore può perfezionare e modellare ancora meglio nel senso di valorizzare il ragionevole dubbio ma paradossalmente, nell’ottica ancora più generale, mi viene da farle una provocazione: c’è la doppia conforme, che impedisce il ricorso per Cassazione per vizi motivazionali, ma se i giudici dentro di loro non hanno un’idea forte e granitica del “ragionevole dubbio” hanno un motivo per spaventarsi all’idea di assolvere. Ed allora per arrivare alla doppia conforme bisogna che ci siano due giudici che arrivino all’assoluzione per la vecchia “insufficienza di prove”.
Cosa ci insegna, sotto questo profilo, la vicenda di Alberto Stasi?
Agli addetti ai lavori ma soprattutto ai giornalisti, all’opinione pubblica, ai giovani, servono delle storie, delle storie che siano emblematiche. Cos’è il ragionevole dubbio? Cosa significa “meglio un colpevole fuori che un innocente dentro”? Che frasi sono? In questo mondo frettoloso, dove si dice tutto e il contrario di tutto, rischiano di essere parole vuote. Ed allora pensate a Stasi, comunque vada. E allora lo capite cosa vuol dire “meglio un colpevole fuori che un innocente in carcere”, sia pure in termini problematici. Io rispetto il giudicato formale come rispetto le indagini in corso, però avete bisogno di una storia vera e complicata? Prendiamo Stasi e riflettiamo sul ragionevole dubbio. Quindi la doppia conforme, sì, può essere un rimedio del legislatore, ma più a monte dobbiamo noi tutti essere consapevoli che quando giudichiamo in primo grado o in secondo grado, nei casi di obiettiva incertezza, si deve assolvere.
In una vicenda come quella di Garlasco è facile per un giudice rimanere impermeabile alle pressioni massmediatiche e alle aspettative della Procura?
Non è facile ma bisogna farlo. Bisogna chiudere la porta e il cervello alle difese, alle parti civili, ai pubblici ministeri, alle pressioni mediatiche. Però mi faccia dire una cosa, perché altrimenti sono belle parole che non servono praticamente a niente. Noi tutti, ma proprio tutti, abbiamo una componente narcisistica, di amor proprio, di autocompiacimento. Ce l’hanno tendenzialmente anche i magistrati. Allora di fronte a un caso mediatico dove si finisce sui giornali, si finisce sulle televisioni, questa naturale componente emerge in modo evidente. Esserne consapevoli è fondamentale perché ti porta a dire “attenzione, la devo gestire, la devo governare, devo stare attento che non mi porti fuori strada, che non incida così pesantemente sul mio equilibrio”. Guardi che se tu sei consapevole di questo hai già fatto l’80% della strada virtuosa.
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