Il sindacato di polizia penitenziaria S.p.p lancia un allarme sugli abusi sessuali all’interno delle carceri dopo il caso del detenuto violentato da due compagni di cella nel carcere di Regina Coeli a Roma. «La regione che sembra avere il numero più alto di violenze è la Campania con 20 casi denunciati all’anno, seguita dalla Sicilia con 14 casi», si legge nella nota diffusa dal segretario generale del sindacato, Aldo Di Giacomo, in cui si fa riferimento a una percentuale di denunce comunque bassissima rispetto alla realtà. «Forse solo l’1% delle violenze sessuali in carcere viene denunciato», perché per paura di ritorsioni o per vergogna in molti altri casi si subirebbe invece in silenzio. «Le conseguenze per i detenuti che subiscono violenza – aggiunge Di Giacomo – sono devastanti soprattutto a livello psichico sino a tentativi di suicidio e altre forme di autolesionismo». Il sindacato denuncia, inoltre, episodi di sesso in cambio di abiti, di vino, di droga, di merce varia all’interno delle celle e segnala la necessità di «rivedere il sistema della sorveglianza dinamica». Insomma uno scenario a tinte molto fosche.

In Campania il garante regionale e quello cittadino dicono di non aver mai ricevuto personalmente segnalazioni su violenze di questo tipo da parte dei reclusi a cui fanno visita periodicamente nei vari istituti della Campania, tuttavia non negano che esista, nelle carceri, un problema legato alla gestione dell’affettività e della sessualità. «In carcere la violenza è sempre esistita», afferma Pietro Ioia, garante cittadino con un passato da detenuto. «In carcere viene consentito ai trans di accoppiarsi con i fidanzati detenuti, non vedo quindi perché non si possa consentire anche agli altri detenuti di vivere momenti di intimità con le proprie mogli – aggiunge Ioia – Nessuno finora mi ha mai raccontato di essere stato prelevato con la forza e costretto a subire atti sessuali, in tal caso avrei denunciato senza esitare». «Che esista poi un problema legato alla sessualità questo sì, posso confermarlo – aggiunge – Così come non stento a credere che possano verificarsi atti di violenza perché nelle carceri italiane non c’è affettività». In Spagna e in altri Pesi europei invece sì. Ioia ha vissuto in prima persona l’esperienza del carcere spagnolo dove l’affettività è un diritto riconosciuto ai reclusi.

«Quando ero detenuto in Spagna avevo la possibilità di incontrare mia moglie una volta al mese per quattro ore. Era una possibilità riconosciuta a tutti i detenuti e veniva tolta se non si aveva una buona condotta – racconta Ioia – Questo dava al detenuto un incentivo positivo, perché si viveva aspettando il giorno dell’incontro con la propria moglie. Questi incontri avvenivano nelle stanze di un padiglione allestito come una specie di albergo. Si avevano quattro ore a disposizione per vivere gli affetti, la propria intimità, senza essere disturbati. Ed era una cosa naturalissima». «Del resto – aggiunge – anche gli animali in cattività possono accoppiarsi. Non capisco perché quando si parla di questo argomento con riferimento al carcere ci sono tanti tabù». Gli ostacoli, di fatto, non sono soltanto logistici, benché nelle carceri ci sia una tale carenza di spazi che sarebbe complicato immaginare luoghi dedicati esclusivamente all’intimità dei reclusi, ma sono soprattutto culturali. «È ancora diffusa la cultura in base alla quale il detenuto non deve vivere alcun affetto – spiega il garante cittadino -, invece sarebbe una soluzione a tanti problemi e consentirebbe al detenuto di essere più tranquillo psicologicamente. L’ho sperimentato in Spagna, lì non c’erano mai episodi di violenza di nessun genere».

«Non serve mettere sotto accusa la vigilanza dinamica, il sistema delle celle aperte, la mancanza di personale – sottolinea il garante campano Samuele Ciambriello – È una violenza tenere tante persone in una stanza, bisognerebbe stigmatizzare la convivenza coatta di decine di persone e denunciare il fatto che ai detenuti non si consente di vivere una sessualità libera né alcuna relazione affettiva con i propri cari». «Inoltre – aggiunge – i dati dicono che nelle carceri della Campania ci sono attualmente più persone accusate di femminicidio che di omicidio, questo indica che si vivono le relazioni in maniera tossica e alterata già fuori, nel mondo dei cosiddetti normali. Quindi non è la vigilanza sulla socialità a incidere sui casi di abusi e violenze». Del resto anche lo stesso Di Giacomo, come segretario del sindacato di polizia penitenziaria, sottolinea che il fenomeno delle violenze sessuali in carcere ha come vittime detenuti che subiscono dai compagni di cella.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).