L’arrivo di Biden alla Casa Bianca cambia molto se non tutto nelle relazioni transatlantiche. Dopo giorni di intensi negoziati a Bruxelles, con l’accordo Boeing-Airbus, l’Unione europea e gli Stati Uniti scrivono la parola fine su una disputa durata 17 anni sui sussidi illeciti ai rispettivi colossi del trasporto aereo.

L’accordo Usa-Ue che sospende i dazi per cinque anni è cruciale sul piano economico, perché riduce la pressione su un settore, quello dell’aviazione, messo in ginocchio dalla pandemia: in un solo anno le compagnie aeree mondiali hanno perso 510 miliardi di dollari (il 61% delle entrate pre-pandemia). Europa e Stati Uniti garantiranno d’ora in poi che i finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo ai produttori di aeromobili non “danneggino l’altra parte” e lavoreranno insieme per “affrontare le pratiche non di mercato di terze parti”. Evidente il riferimento alla Cina, che, approfittando anche dei dispetti di Trump all’Europa, è diventata la prima potenza commerciale nel mondo. Economia e politica si mescolano: per la prima volta la Nato definisce Pechino una “minaccia per la sicurezza” e il G7 chiede una nuova inchiesta internazionale indipendente sulle origini del coronavirus, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali nello Xinjiang e a Hong Kong e l’impegno a coordinarsi contro “pratiche scorrette che minano il funzionamento equo e trasparente dell’economia globale”.

L’accordo Airbus-Boeing non si limita a spazzar via le nubi dell’incertezza che incombevano sul settore delle compagnie aeree. Rimuove anche la minaccia che 11,5 miliardi di dollari di beni di consumo dell’Ue e degli Stati Uniti possano essere nuovamente colpiti da tariffe punitive su un’ampia gamma di prodotti che va dal vino francese alla melassa di canna da zucchero degli Stati Uniti. Gli Usa di Trump avevano preso di mira le esportazioni europee per un valore di 7,5 miliardi di dollari con dazi extra nell’ottobre 2019. L’Ue aveva risposto con dazi aggiuntivi su 4 miliardi di dollari di esportazioni statunitensi lo scorso anno. L’iniziativa di Joe Biden che chiude le controversie Airbus-Boeing è una buona notizia anche per l’economia italiana: come ricorda la Coldiretti saranno finalmente bloccati i dazi aggiuntivi statunitensi che hanno colpito le esportazioni agroalimentari italiane per un valore di circa mezzo miliardo di euro su prodotti caseari come il Grana Padano, il Gorgonzola, l’Asiago, la Fontina, il Provolone. Ma anche su salami, mortadelle, crostacei, molluschi, agrumi, succhi di frutta, grappe e liquori come amari e limoncello. Discorso diverso va fatto per l’export vitivinicolo.

Il commercio del vino italiano era già esentato dai dazi aggiuntivi legati al contenzioso Airbus-Boeing. «L’accordo tra Usa e Ue per la sospensione quinquennale dei dazi e delle altre ritorsioni tariffarie tra le due sponde dell’Atlantico, andrà soprattutto a vantaggio degli altri vini europei», spiega Denis Pantini, responsabile dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma. E aggiunge: «La riapertura dei ristoranti negli Usa induce a un moderato ottimismo sulla ripresa delle importazioni di vino, come anche testimoniato dai dati di aprile che mostrano altresì una “rotazione” degli acquisti dove sono soprattutto i vini europei a beneficiarne, con Francia in testa (+51% rispetto ad aprile 2020), mentre i vini del Nuovo Mondo evidenziano cali a doppia cifra». Secondo le elaborazioni su base doganale, i vini italiani negli Stati Uniti sono segnalati ancora in perdita nel quadrimestre (-12%) a causa di un gennaio-febbraio nero (-26%) mentre la Francia riduce il gap a valore a -3% dopo l’annus horribilis segnato dall’emergenza sanitaria e dalla scure dei dazi aggiuntivi. Negli Usa, primo mercato al mondo, si gioca un testa a testa: l’Italia a 538 milioni di euro di vendite è seguita a ruota dalla Francia (534 milioni di euro). I due paesi cugini allungano sugli altri concorrenti e coprono i 2/3 del totale delle importazioni a valore.

Ma la geopolitica incide anche nell’export con direzione Cina. Nel 2021, dopo che il governo australiano ha chiesto una nuova indagine internazionale sulle responsabilità cinesi nella diffusione dal pandemia, la reazione del Dragone è stata implacabile. il governo di Pechino ha gravemente penalizzato con un’esplosione di dazi il vino proveniente dall’Australia, paese che finora aveva in Cina uno sbocco privilegiato dei propri prodotti agroalimentari: nel 2019 era il principale fornitore di vino del gigante asiatico. L’Osservatorio di Nomisma a partire dai risultati doganali del primo quadrimestre, racconta che il crollo australiano in Cina (-80% a valore sul pari periodo 2020) ha favorito tutti i concorrenti.

In primo luogo la Francia (+41%), protagonista di un autentico boom degli champagne (+110%) che cambia sempre più le abitudini dei cinesi, per tradizione amanti dei vini rossi. Sale anche l’import di vino italiano (+22%). In netta crescita la fascia premium, con i vini fermi (85% dell’import dal Belpaese) che crescono del 19% a valore e di appena il 2% a volume, con un incremento significativo del prezzo medio. Insomma, la Cina diventa sempre più interessante per la geoeconomia dell’industria vinicola italiana. Ne è convinto anche Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere che nel corso della Vinitaly Preview di domenica scorsa annuncia: «Con il Wine to Asia ad agosto, il Vinitaly China Roadshow di settembre e la Vinitaly special edition di ottobre metteremo in campo una campagna senza precedenti di reclutamento buyer e di comunicazione». Nella controversia Boeing-Airbus, i dazi americani avevano già favorito il vino italiano. Lo stesso accade adesso con i super-dazi di Pechino sull’Australia. E l’Italia cercherà di approfittarne.

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