Le cinque condizioni di Josep Borrell per instaurare un dialogo con i talebani sono un pericoloso boomerang. Il 3 settembre, l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza ha dichiarato che l’Unione europea è pronta a un impegno operativo con i talebani, che dipenderà, però, dalle azioni e dal comportamento del nuovo governo. Nello specifico, Borrell ha parlato di cinque condizioni “non negoziabili“: il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti umani, in particolare quelli delle donne, che l’Afghanistan non diventi la base per il terrorismo, la formazione di un governo inclusivo, il libero accesso agli aiuti umanitari e il pieno impegno dei talebani a favorire le partenze dei cittadini stranieri e afghani che desiderino lasciare il Paese.  Alcune di queste condizioni, come l’accesso agli aiuti umanitari e la possibilità di lasciare l’Afghanistan per le persone a rischio, saranno anche concretizzabili con un importante impegno diplomatico; altre, invece, senza mettere in campo strumenti adeguati di controllo dell’adempimento e senza, soprattutto, la volontà di intervenire lì dove emergono evidenze di violazioni, non solo non sortiranno l’effetto desiderato, ma produrranno una degenerazione della situazione generale.

 

Prendiamo ad esempio la tutela dei diritti delle donne, di cui tanto si discute in questi giorni. La prima cosa con cui fare i conti è l’opacità che oggi, e chissà per quanto altro tempo ancora, contraddistingue questi che dovrebbero essere i nostri interlocutori: sappiamo che i talebani detengono il controllo della maggior parte dell’Afghanistan, ma non è chiaro se gli esponenti che si sono esposti finora pubblicamente sono e saranno allineati tra loro. La seconda cosa sono le dichiarazioni che abbiamo ascoltato, che parlano di applicazione della Shar’ia e di accesso negato alle donne nelle posizioni di potere. Infine, c’è quello che è trapelato dalle prime testimonianze: il “consiglio” alle donne afgane di rimanere a casa per ragioni di sicurezza e la repressione violenta di manifestazioni organizzate da quelle pochissime attiviste che con grande coraggio e speranza hanno tentato in questi giorni a Herat e a Kabul di attirare l’attenzione della comunità internazionale. Chi lavora nell’ambito dei diritti umani sa bene cosa comportano questi elementi: la Shar’ia può reprimere di più o di meno le libertà della donna, a seconda di come la si applichi, ma sempre rappresenterà una grave violazione dei diritti fondamentali. Non esiste una Shar’ia su cui si può trovare un compromesso; si può però chiudere un occhio, perché lo abbiamo visto fare già tante volte dalle nostre istituzioni, rendendo inutile il lavoro di chi si batte e denuncia quelle condizioni così facili da porre, ma a quanto pare impossibili da far rispettare.

 

È chiaro che in uno scenario come quello in cui l’UE si è trovata, dopo l’annuncio del ritiro delle truppe americane, il tema dei diritti umani deve essere gestito di pari passo con quello della sicurezza e del contrasto al terrorismo internazionale. Ma è proprio su questo che si affaccia un’altra preoccupazione: è forse l’UE pronta ad allearsi con i più pericolosi regimi, che notoriamente sponsorizzano il terrorismo internazionale, come ad esempio l’Iran, nel nome della lotta al terrorismo dell’ISIS-K e per la gestione dei profughi afgani? Se così fosse, bisognerebbe quantomeno trovare un po’ di coerenza e eliminare le parole “diritti umani” dal dibattito, perché è ovvio che, in una situazione del genere, non solo non saremo in grado di porre alcuna condizione in merito, ma ci ritroveremo la rappresentanza talebana seduta al Consiglio dei diritti umani dell’ONU, la cui sessione straordinaria tenutasi il 23 agosto sull’Afghanistan ci ha già lasciato sgomenti, visto che ha adottato una risoluzione redatta dal Pakistan che né menziona i talebani, né documenta le violazioni perpetrate e né istituisce una commissione d’inchiesta.

Questo episodio è solo uno dei tantissimi esempi delle gravi conseguenze di anni di parole al vento sui diritti e libertà fondamentali da parte dei nostri governi; non solo abbiamo fallito nel tutelare quelli che sono i nostri valori principali, ma abbiamo prestato il fianco a un’alleanza di regimi che sotto i nostri occhi, lentamente, ha svuotato di significato quegli organismi deputati a tutelarli.  Per fortuna, Borrell, nelle sue dichiarazioni, non ha parlato (ancora) di riconoscimento dei talebani, cosa che anche tecnicamente, secondo il Diritto internazionale, non può avvenire poiché i talebani sono tuttora definiti “organizzazione terroristica” dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Questo è il punto che abbiamo sottolineato nell’ appello della FIDU che racchiude una serie di raccomandazioni al Governo italiano e all’Unione europea affinché ci si svegli da questo torpore e si agisca responsabilmente e con coerenza, prima che sia troppo tardi.