Cade un altro pezzo di "Mafia capitale"
Alemanno assolto, cade un altro pezzo di ‘Mafia Capitale’: l’ex sindaco di Roma non era un corrotto
Della maxi indagine Mafia capitale rimangono, allora, solo le “raccomandazioni”. Come quelle che chiedevano i magistrati a Luca Palamara per ottenere una nomina o un incarico. Nel caso delle toghe, ovviamente, nessuno è stato mai indagato. L’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, l’ultimo ancora sotto processo, assolto dall’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso e poi da quella di corruzione, dovrà essere dunque giudicato solo per “traffico d’influenze”. È quanto ha stabilito ieri la Corte di Cassazione.
Una decisione attesa dal momento che l’ex sindaco era stato ritenuto responsabile di corruzione e finanziamento illecito nonostante la Cassazione avesse condannato, in via definitiva, i suoi originari coimputati per traffico d’influenze. L’anno scorso, invece, la Corte d’appello di Roma aveva confermato per Alemanno la sentenza di condanna di primo grado a sei anni di reclusione. Il procedimento a carico di Alemanno riguardava uno dei filoni della celeberrima inchiesta condotta dall’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone. La posizione di Alemanno venne inizialmente stralciata. Caduta l’accusa di associazione mafiosa, era rimasta quella di corruzione. Ieri neppure quella.
Per i pm l’ex sindaco di Roma avrebbe percepito da Salvatore Buzzi, presidente della cooperativa “29 giugno” soldi ed erogazioni per la fondazione “Nuova Italia”, da lui presieduta, per circa 300 mila euro.
Buzzi, in concorso con l’ex nar Massimo Carminati, avrebbe pagato per far nominare dirigenti apicali in Ama, la municipalizzata del Comune di Roma che si occupa dello smaltimento dei rifiuti, per pilotare appalti indetti dalla stessa municipalizzata in favore delle sue cooperative, e per far sbloccare alcuni crediti che vantava con il Campidoglio. I giudici avevano disposto nei confronti di Alemanno anche la confisca pari all’importo della presunta corruzione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Era stata fissata una provvisionale di 50mila euro sia nei confronti di Ama che del Comune di Roma. Buzzi aveva sempre smentito, senza però essere creduto, di aver dato soldi ad Alemanno. «In tutta la mia vita avrò visto Alemanno quattro o cinque volte», aveva detto Buzzi, sottolineando di aver «sempre e soltanto dato tangenti a Franco Panzironi», l’allora potente amministratore delegato di Ama.
Le cooperative di Buzzi, che a seguito di queste indagini erano poi tutte fallite, avevano un contenzioso aperto, per questi mancati pagamenti, con il Comune di Roma per la gestione del verde. Il Campidoglio, in particolare, esternalizzava le attività di manutenzione e potatura delle piante alle cooperative sociali, fra cui quelle di Buzzi. Gli affidamenti venivano dati da Panzironi fin dal 2009. «Una delle volte che avevo portato i soldi a Panzironi gli chiesi espressamente se fossero per Alemanno. Volevo essere sicuro», puntualizzò Buzzi. «Se i soldi – aggiunse – erano per Alemanno, come mai il Comune di Roma non sbloccava i pagamenti per le mie cooperative?» «Panzironi mi giurò sulle figlie che i soldi non andavano ad Alemanno ma erano per lui», concluse Buzzi, al quale per aver “difeso” Alemanno vennero negate le attenuanti. Panzironi, a cui non venne applicata nessuna misura di prevenzione, era il segretario della fondazione Nuova Italia e gestiva personalmente la raccolta dei fondi, sia in “chiaro” che in “nero”. Alcuni di questi fondi provenivano dalle cooperative di Buzzi. «Non ho mai saputo che i soldi venissero dalle cooperative di Buzzi», aveva dichiarato Alemanno, ricordando che «Panzironi provvedeva a far effettuare i bonifici da altre cooperative non riconducibili alla 29 giugno». Il motivo? Evitare che si sapesse che una cooperativa di sinistra pagasse un sindaco di destra.
Per i magistrati, invece, Alemanno non poteva non sapere cosa faceva Panzironi. «Sono stato infangato per anni: prima mafioso e poi corrotto. Anzi, ero l’unico corrotto che si era corrotto da solo», il commento a caldo di Alemanno. «Se fosse stata confermata la sentenza sarebbe stata una grande ingiustizia», il commento, invece, di Buzzi. «A me e Panzironi queste condotte erano stato derubricate in traffico di influenze, mentre Alemanno, all’oscuro di tutto e senza prendere una lira, era stato condannato per corruzione, ha aggiunto Buzzi, il quale aveva raccontato in un libro dal titolo Se questa è mafia l’intera vicenda che come effetto ebbe quello di spalancare le porte del Campidoglio a Virginia Raggi, eletta al grido di “onestà, onestà!”. Il collegio che ha assolto Alemanno era presieduto da Sergio Fidelbo, magistrato che aveva concorso, senza successo, per andare alla Corte Costituzionale.
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