Se esistesse ancora il premio Stalin (che temo sia stato abolito nel 1956) l’edizione del 2020 avrebbe un vincitore sicuro: il Csm. Cioè l’organo di autogoverno della magistratura, presieduto dal presidente della Repubblica. Il Csm ha celebrato in un tempo brevissimo, e quindi battendo ogni record di rapidità, il processo disciplinare a Luca Palamara, che in passato è stato uno degli dei della magistratura italiana: lo ha svolto senza accettare i testimoni a difesa, senza prove, fondandosi su pochissime intercettazioni ottenute coi Trojan (sono state accettate solo le intercettazioni illegali), negando ogni diritto della difesa e rifiutandosi di svolgere una inchiesta su ciò che Palamara ha denunciato, e cioè un sistema corrotto che domina la magistratura, ne stabilisce le gerarchie, determina la distribuzione dei poteri e – purtroppo – anche l’esito di molti processi, facendo strame dei diritti degli imputati e dell’esigenza di diritto e verità.

Il Csm in fondo è stato abbastanza sincero. Non ha negato che il motivo vero per il quale si è decisa la condanna di Palamara non è tanto quella cenetta alla quale ha partecipato anche l’on.Lotti, e che dunque metteva a repentaglio il principio della separazione tra politica e magistratura (principio che viene violato, ad occhio, un paio di volte al giorno, diciamo dal 1947…); ma è il disdoro che Palamara con la sua condotta e soprattutto con la sua linea di difesa ha gettato sulla magistratura. Cosa ha fatto Palamara? Ha parlato male dei suoi colleghi, ha offerto le prove che centinaia di loro avevano brigato per ottenere scatti di carriera e posti di potere, ha messo in luce un’incredibile commistione di interessi che unisce e condiziona Pm e giudici, spesso protagonisti degli stessi processi, ha mostrato come il potere giudiziario non è nelle mani di una magistratura libera, professionale e indipendente ma di una organizzazione incostituzionale, e cioè l’Anm, che è l’assemblea dei magistrati dominata dalle correnti e che garantisce, in modo persino dichiarato, la non autonomia di Pm e giudici.

Questo è quello che il Csm, cioè – diciamo così – la corporazione delle toghe (soprattutto dei Pm) o se vogliamo essere ancora più precisi la “casta delle toghe” non ha potuto accettare e questa è la ragione per la quale ha deciso di espellere con grida di infamia Luca Palamara e di assolvere tutti gli altri. È intervenuto persino il Procuratore generale della Cassazione, nei giorni scorsi, per dire: se i magistrati si autopromuovevano niente di male. Traffico di influenze? Può darsi: ma chiunque capisce – deve aver pensato il Procuratore – che il traffico di influenze non è un reato, è una invenzione della componente forcaiola della magistratura e della politica, e quindi vale per tutti ma non per chi l’ha inventato. Di sicuro non per i magistrati.

Ora, chiuso il Palamara-gate è chiusa anche magistratopoli? Diciamo le cose come stanno: magistratopoli, sebbene ignorata dai giornali – perché i giornali sono parte integrante dello scandalo – è il più grande scandalo politico del dopoguerra. La Lockheed era robetta, riguardava al massimo un paio di ministri che oltretutto, probabilmente, erano anche innocenti. Tangentopoli ha coinvolto solo una parte dei politici, e oltretutto lo ha fatto in modo evidentemente persecutorio, visto che l’80 per cento degli indiziati è stato assolto e molti sono stati condannati senza prove. Qui invece parliamo di un gigantesco fenomeno di corruzione – da nessuno negato – che ha stravolto le regole di funzionamento della magistratura, ne ha cancellato l’indipendenza, le ha imposto il giogo di organizzazioni private (lobby, clan, dite come volete: le correnti) e ha reso illegale l’intero sistema giudiziario italiano, probabilmente condizionando e violentando migliaia e migliaia di sentenze, passate, presenti e – al punto in cui sono le cose – anche future.

Come fa il Parlamento a non intervenire? La magistratura si è rifiutata di svolgere un’inchiesta su se stessa. Il Parlamento ha il dovere – non l’occasione, dico: il dovere, l’assoluto dovere civico – di istituire una commissione di inchiesta, con tutti i poteri della commissione di inchiesta, per scoprire cosa è successo davvero. La prima cosa da fare, ad esempio, è ascoltare i 130 testimoni che Palamara aveva chiamato al banco e che il Csm ha rifiutato di ascoltare.
Non c’è nessuna ragione di dividersi, in questo caso, tra sinistra e destra. La divisione, al massimo, può essere quella tra onesti e disonesti. Onesti senza H questa volta. Perché non è una questione di propaganda alla Casaleggio, ma un vero problema di lealtà alle istituzioni. Chi si dovesse opporre a una commissione di inchiesta sarebbe un traditore della democrazia.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.