Constato che il mio intervento sul tema dell’amministrazione della giustizia ai tempi della pandemia ha suscitato interesse nell’opinione pubblica. Le critiche che mi sono state mosse sulle pagine del Riformista da Antonello Sannino e Domenico Spena sono però mal riposte, trascurando un punto fondamentale. L’obiettivo infatti è comune a entrambi. Entrambi vogliamo legalità e giustizia e, credo, un carcere che sia espressione anche e soprattutto della funzione rieducativa che è propria della pena. Nessuno mette in dubbio i principi della Costituzione né tantomeno la tutela della salute dei detenuti negli istituti penitenziari, che va garantita come a ogni altro cittadino, in una fase in cui il virus circola ancora più velocemente rispetto alla prima ondata.

I rischi sanitari valgono per tutti e non c’è una gerarchia da applicare tra categorie più tutelate e altre meno tutelate, ma neanche si può rovesciare il ragionamento per preoccuparsi solo di chi delinque e non anche di chi vive onestamente. Qui si ammalano tutti. Sull’autobus affollato, nelle metropolitane piene come scatole di sardine, lungo le file dei nostri tribunali malandati. Io continuo a non avere esitazioni sul soggetto al quale dare priorità tra il borseggiatore beccato dalle forze dell’ordine con le telecamere di videosorveglianza e chi ha subito un atto di violenza ma – come la si pensi – occorre far prevalere il buon senso. Lo storico errore di alcuni è non contemperare gli interessi in campo, trincerandosi dietro il paravento di una Costituzione enunciata ma raramente applicata, anche da certa magistratura le cui distorsioni ho spesso denunciato.

La mia professione e la mia storia personale testimoniano quanto creda nel garantismo. Attenzione, però: gli articoli della Costituzione non servono a giustificare le proprie tesi. D’altra parte, il garantismo a corrente alternata, si sa, è il perfetto terreno di coltura per distruggere il Paese e minare lo Stato democratico. Se è vero che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, è anche vero che la decisione di far circolare liberamente soggetti colti in flagranza di reato, quindi meritevoli di essere sottoposti a misure cautelari, viola tanti altri diritti. A partire dalla sicurezza del singolo cittadino. Allora non mettiamo sterilmente e strumentalmente in contrapposizione garantismo e giustizialismo.

Il problema del sovraffollamento delle carceri, sorto assai prima della pandemia e quindi solo aggravato dalla stessa, va risolto conciliando le diverse esigenze: il rispetto della dignità del detenuto e il dovere dello Stato di garantire la sicurezza. La ricetta non può però limitarsi esclusivamente a un programma emergenziale articolato in una serie di interventi tampone, ma si devono prevedere azioni di sistema e una riforma complessiva del sistema carcerario.
Se l’obiettivo è decongestionare gli istituti e tutelare la salute, occorre puntare sull’applicazione delle misure alternative alla detenzione in carcere. Sui braccialetti, per esempio, che però sono introvabili. Il Ministero della Giustizia si adoperi per procurarseli.

Altrimenti sono soltanto chiacchiere. Continuo soprattutto a pensare che la magistratura non deve svolgere una funzione di supplenza rispetto ad altri poteri, ma è chiamata ad applicare la legge. Semmai, è quando i giudici si trovano a svolgere funzioni amministrative, per esempio nelle posizioni apicali del Ministero della Giustizia, e si spogliano della toga, che la magistratura si deve sforzare di fornire risposte adeguate alle domande dei cittadini.
Tutto ciò che è nel mio potere di consigliere regionale, lo farò per scongiurare abusi di qualsiasi tipo. Ma è chiaro che la mia appartenenza alla Lega, suffragata dal voto degli elettori, rende constante il contatto con la gente comune, quella che pretende uno Stato che la difenda senza dare l’impressione di arretrare. Il Covid non diventi un alibi per chi non sa amministrare la giustizia e cerca scorciatoie perché non riesce a frenare l’onda del virus. Perderemmo due volte.