Da nonviolento radicale che marciava da Trieste ad Aviano negli anni in cui al nostro fianco ci si trovava solo il vecchio Vittorio Vidali (pensa un po’!) e Loris Fortuna. Come “medaglietta” posso esibire l’essere stato obiettore di coscienza integrale (rifiutato anche il servizio civile), nei tempi in cui questo comportava la galera. Con tutto ciò ho sempre nutrito una qualche diffidenza nei confronti di Gandhi. Non riesco a dimenticare che la sua nonviolenza è giunta a livelli che non trovo accettabili. Il 26 novembre del 1938 su “Harijian” giunge a scrivere: «…Gli ebrei possono stabilirsi in Palestina solo con il consenso degli arabi. Devono tentare di convertire il cuore degli arabi: è governato dallo stesso Dio che governa il cuore degli ebrei. Gli ebrei devono ricorrere al satyagraha nei confronti degli arabi e lasciare che questi li uccidano o li gettino nel Mar Morto senza alzare un sol dito contro di loro. Troveranno l’opinione pubblica mondiale solidale con la loro aspirazione religiosa…».

Fatte salve le legittime opinioni e divergenze sulle modalità di insediamento in Palestina, l’invito a lasciarsi uccidere, gettare nel Mar Morto «senza alzare un sol dito», confidando nella solidarietà del mondo, proprio no. Un mite come Romano Prodi l’altro giorno ci ammoniva: «Chi pecora si fa, il lupo se la mangia». Diciamo che la mia nonviolenza non è mistica, ma pragmatica: alla Henry David Thoreau; o alla Bertrand Russell, per riferirci a personalità a noi più vicine. Sgomberato il campo da questo, vengo ai tuoi “argomenti”. Proprio il Riformista ha ascoltato lo storico Marcello Flores: «I giustificazionisti battono sul fatto che la Nato, l’Occidente o Biden individualmente, avrebbero le loro colpe, più o meno grosse, per qualcuno addirittura quelle prevalenti nel computo delle responsabilità di ciò che sta avvenendo. Queste considerazioni sono le stesse addotte da Putin per autogiustificare la sua aggressione militare. Chi continua a riportarle, di fatto, si comporta, al di là delle motivazioni individuali che l’ispirano, come un agente di Putin all’interno dell’opinione pubblica europea. Io questo lo voglio dire con estrema chiarezza».

Credo che il professor Flores individui con lucidità l’essenza della questione, e il vero timore, la paura di cui è preda Putin: «La minaccia è la democrazia che si stava costruendo, sia pur lentamente e in modo contraddittorio, in Ucraina. È la paura del diffondersi della democrazia, della possibilità che un regime democratico e in futuro sempre più strutturato in Ucraina, potesse collegarsi con le spinte democratiche che sono presenti, anche se minoritarie, in Russia». La democrazia non si esporta; ma si può e si deve nutrirla e sostenerla, aiutando i democratici nelle loro lotte per l’affermazione della libertà, del diritto, della conoscenza: gli eroi che resistono a Kiev e in Ucraina; e gli eroi che in Russia sfidano repressioni, arresti, violenze: eredi, senza neppure forse saperlo di Solženicyn, e Salamov, di Jurij Daniel e Andrej Sinyansky, di Andrej Sacharov e sua moglie Elena Bonner, in favore dei quali pochi, a suo tempo si mobilitarono… Cerco di rifuggire dai luoghi comuni. A suo tempo mai pensato, neppure per un istante, “meglio rossi che morti”: non foss’altro perché l’affermazione sottende che peggio della morte ci sia solo l’essere “rossi”.

Ben vero che la storia, insegna molto poco; e come diceva un filosofo barbone (e barboso) che qualcuna l’ha imbroccata, «si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa» (in questo caso però c’è poco di che ridere). Era il 1982. La giunta militare del generale argentino Leopoldo Galtieri instaura una sanguinosa dittatura, dopo aver spodestato i non meno feroci Jorge Rafael Videla e Roberto Eduardo Viola; anche per “distrarre” dalla paurosa crisi economica in cui il paese è precipitano, Galtieri dà il via all’”Operación Rosario”: l’invasione delle vicine isole britanniche Falkland, che considera territorio argentino e chiama Malvinas. Galtieri non fa i conti con l’allora primo ministro britannico Margaret Thatcher: che non esita un istante a inviare i soldati, e riconquista le isole. La sconfitta militare dell’Argentina segna anche l’inizio della fine della dittatura.

Alla fermezza di Margaret Thatcher si può attribuire buona parte del merito della caduta del regime, e l’affermarsi di una pur zoppicante democrazia in quel Paese (non è vero, insomma, che non ci sia conflitto armato che non si traduca in un qualcosa di “positivo”, nonostante la indubbia sua tragicità). Certo: diversi, oggi, i contesti, le situazioni, i personaggi. Tuttavia, chissà che da una tragedia che ancora non si è completamente consumata (e che può avere esiti più gravi di quelli immaginabili), alla fine non venga qualcosa di “positivo”: per l’Ucraina, la Russia, e il mondo intero. Questo non significa invocare e auspicare la guerra. Si dice che i dittatori a volte sbagliano i loro calcoli: si auto-ingannano; le politiche alla Chamberlain e alla Daladier, sono come quegli struzzi che nel pericolo nascondono la testa sotto la sabbia, illudendosi che altre parti “delicate” siano al riparo. Se usata con flessibilità e intelligenza, la “fermezza” può pagare.

C’è chi non vuole arruolarsi. In situazioni come queste, chi non si schiera, chi non si fa partigiano è complice. E’ un po’ paradossale che sia un radicale-liberale a ricordare (non a te, ma ai tanti “ma” e “se”) quello che Antonio Gramsci scriveva su “La Città Futura” l’11 febbraio del 1917: «Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita…Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto…Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti». Per tornare a Putin: è colpevole, non da ora, di crimini contro l’umanità. Invito tutti a firmare l’appello del Partito Radicale perché i responsabili di questa aggressione siano chiamati a risponderne davanti alle giurisdizioni deputate. È un criminale colpevole delle stesse colpe di un Milosevic, di un Mladic, di un Karadzic. Il Riformista ci dà una mano?