«Dobbiamo individuare le malattie dietro i casi rarissimi di reazione avversa al vaccino anti-Covid (come si è visto con le trombosi dopo la somministrazione di Astrazeneca n.d.r.): è importante e ancora se ne parla poco. Io penso e l’ho scritto anche ad alcune persone che hanno un ruolo importante nella sanità italiana, che dovremmo valutare la possibilità che si tratti di una malattia che conosciamo: porpora trombotica trombocitopenica o sindrome di Moschcowitz».

A raccontarlo, in una lunga intervista a La Gazzetta di Roma, assieme a una serie di consigli sulla vaccinazione per chi ha determinate patologie, è Angelo Michele Carella. Ematologo ed ex direttore della Divisione di Ematologia e Centro Trapianti di Midollo all’Ospedale San Martino di Genova, ha nel curriculum 280 pubblicazioni su riviste internazionali. Oggi è consulente della Clinica Paideia a Roma e della Casa di Cura La Madonnina a Milano.

«Nella mia lunga carriera – spiega il professore – ho visto diversi casi di questa sindrome ed è caratterizzata da una carenza di piastrine associata aduna trombosi, una cosa rara perché di solito o c’è l’uno o c’è l’altro. Una diagnosi che potrebbe riguardare la maggior parte dei casi dei pazienti che hanno i rarissimi effetti collaterali di grave entità dopo la somministrazione di Astrazeneca. In generale può essere infatti determinata da tumori o infezioni, ma anche farmaci. C’è poi una “cugina” di questa sindrome, la Cid (coagulazione intravascolare disseminata), dove si hanno i globuli rossi in periferia rosicchiati, gli schistociti. Quando un paziente vaccinato entro una decina di giorni ha cefalee violente, sospetto di trombosi celebrale o in altri organi, oppure la caduta delle piastrine, la prima cosa che si potrebbe fare è un esame chiamato “striscio di sangue periferico”, quindi l’emocromo e il “dosaggio dell’enzima Adamts 13”, che si fa in tutti i grossi ospedali e i centri trasfusionali. Se si trovano livelli molto bassi di Adamts, si fa una diagnosi di Moschcowitz o Cid e si può fare la plasmaferesi, che salva la vita del paziente. Ad eccezione di casi drammatici, che partono da casa in condizioni già troppo gravi (per esempio con un’emorragia celebrale in corso), in chi comincia ad avere dei sintomi questa potrebbe essere una buona strada da seguire».

«Queste – aggiunge il professore – sono idee che mi vengono per la mia esperienza di quarant’anni quale ematologo, credo non si possa escludere questa sindrome e se confermata con questa diagnosi si può salvare la vita dei pazienti. Poi ovviamente bisogna capire perché viene la sindrome. Il disordine coagulativo potrebbe attivarsi per infezioni, farmaci, malattie ematologiche. Ma è anche possibile che la struttura del vaccino possa attivare processi che portano al Moschcowitz. Ovviamente non ho abbastanza elementi per confermare nulla. Dico solo che se individuassimo la natura del disturbo che si realizza in questi casi già saremmo un passo avanti».

Secondo Carella, che sottolinea comunque l’assoluta e complessiva efficacia di Astrazeneca e degli altri vaccini per uscire finalmente dalla crisi sanitaria, il suo suggerimento a un ospedale potrebbe aver già aiutato una donna. Questa paziente avrebbe avuto sintomi da non sottovalutare dopo la somministrazione del vaccino (anche se la correlazione non è scontata).

«In un importante ospedale italiano – racconta – abbiamo discusso di questo problema. E le dico di più: avevano una paziente con un basso livello di piastrine, cefalea e inizio di trombosi nella settimana successiva alla somministrazione di Astrazeneca. Hanno fatto il dosaggio di Adamts 13, che era a zero. Diagnosticata la sindrome di Moschcowitz, è stata fatta la plasmaferesi. Adesso la paziente è ancora ricoverata, ma sta meglio, fuori dal pericolo della trombosi. Apriamo un dibattito con i virologi ed ematologi/coagulologi, per approfondire la possibilità che si realizzi la sindrome di Moschcowitz in casi rarissimi. Se dimostrassimo qualche correlazione il Comitato tecnico scientifico potrebbe dare suggerimenti ad hoc a livello nazionale».