Non sempre le buone intenzioni conducono ai risultati desiderati e soprattutto nelle politiche economiche l’eterogenesi dei fini è un fenomeno ricorrente. Così accade per la complessa vicenda del Superbonus. Istituito nel maggio 2020, il Superbonus si propone di stabilire un sistema di incentivi per la riqualificazione energetica degli edifici e per la riduzione del rischio sismico. In questo ambito di interventi, il decreto ha previsto tre forme di agevolazione fiscale per i contribuenti: la detrazione delle spese sostenute nella dichiarazione dei redditi; lo sconto anticipato praticato dai fornitori di beni o servizi e la cessione del credito a terzi. Tali misure nelle intenzioni del legislatore dovrebbero favorire il rinnovamento del patrimonio edilizio del Paese in funzione della transizione ecologica e nello stesso tempo sostenere la ripresa economica, dopo il lockdown, usando il volano più diretto, cioè l’edilizia (che nel 2020 ha contribuito per il 4,3% al Pil).

Secondo l’ultimo report del Ministero della Transizione Ecologica, a febbraio 2022, il totale nazionale degli investimenti ammessi a detrazione è stato pari a 21 miliardi di euro, con un onere previsto a carico dello Stato che ammonterebbe a poco più di 23 miliardi, quasi corrispondenti al gettito di Imu e Tasi. In Campania il totale degli investimenti ammessi a detrazione è stato pari a 1,5 miliardi, collocandosi al primo posto tra le regioni meridionali (7% al livello nazionale). L’effetto positivo immediato delle misure è stato quello di rilanciare il settore costruzioni, che nel 2020 aveva registrato un crollo pari al 6% rispetto al 2019, e che invece ora è in netta ripresa, con gli investimenti in costruzioni aumentati del 54% rispetto ad un anno fa. I livelli produttivi dovrebbero aumentare, a fine 2021, dell’8,6%, segnando anche una ripresa del mercato immobiliare residenziale, cresciuto nel primo trimestre 2021 del 17,1% rispetto allo stesso periodo del 2019. Fin qui tutto bene, se il diavolo non ci mettesse la coda.

L’assenza o quasi di controlli iniziali ha consentito attività illecite che secondo un primo rapporto della Guardia di Finanza hanno fruttato 2 miliardi ottenuti in frode per la natura fittizia dei crediti (si chiedono soldi senza effettuare lavori); per l’acquisto dei crediti con capitali di origine illecita (riciclaggio di denaro sporco), e per abusivismo finanziario, perpetuato da soggetti che effettuano tantissime operazione di acquisto e vendita di crediti non avendone i requisiti. Le organizzazioni criminali si sono inserite largamente in questo contesto di opportunità. Il Governo è corso ai ripari proibendo ai detentori di crediti ceduti una prima volta, di “passarli” a loro volta a un secondo soggetto, bloccando la pratica delle cessioni multiple che servivano a nascondere l’origine effettiva dei crediti, con l’obiettivo di “incassare” crediti in realtà inesistenti. Secondo le associazioni di categoria il divieto di doppia cessione azzererà ogni possibilità di ricorrere al bonus fiscale per un numero elevatissimo di privati e imprese, inficiando l’efficacia degli incentivi rispetto all’obiettivo del rinnovamento edilizio. Ma questo non è l’unico problema.

Il meccanismo del bonus è fortemente distorsivo per diverse ragioni: 1. Eliminando ogni conflitto di interesse tra proprietari di immobili e imprese edili (attivando cioè il fenomeno del terzo pagante) ha indotto un aumento artificiale dei costi e quindi dei prezzi dei materiali da costruzione (il prezzo del ferro è aumentato del 226,7% rispetto all’anno scorso); 2. Il carattere temporaneo del provvedimento incentiva comportamenti speculativi del tipo mordi e fuggi; 3. Favorisce l’ingresso nel mercato di imprese inefficienti con effetti sulla qualità delle ristrutturazioni; 4. Favorisce i contribuenti più ricchi concentrandosi nelle categorie catastali più elevate, laddove cioè il beneficio dell’investimento è più alto, rispetto all’edilizia popolare (tre castelli hanno beneficiato di sussidi di oltre un milione di euro). L’effetto è un aumento delle rendite urbane che se non accompagnato da piani regolatori e da una riforma del catasto (già richiesta da Bruxelles) si traduce in un mero trasferimento di ricchezza sociale a vantaggio dei proprietari immobiliari più ricchi. In una città come Napoli, in cui il mattone è da sempre l’unica fonte di ricchezza, gli incentivi potrebbero segnare una nuova stagione di speculazione edilizia.