Il futuro dei dem
Basta tregua, al Pd serve un segretario divisivo per una forza neolaburista
Il modo peggiore, per uscire dalla sua crisi strutturale, sarebbe per il Pd quello di cercare una ennesima soluzione di mediazione, con una figura di compromesso individuata con la consueta alchimia correntizia e utile solo per sopravvivere ancora per qualche mese nell’immobilità che conduce diritta alla polverizzazione. Serve da subito un segretario divisivo, non di tregua, che rompa il falso unanimismo e recuperi, con una prova di forza che è sempre chiarificatrice nelle vicende di un partito che arranca, la capacità di innovazione politica e di invenzione organizzativa per andare oltre il Pd.
Sul piano dell’identità occorre una fuoriuscita dall’enigma irrisolto costituito dalla dizione partito democratico celebrata come sintesi dei molteplici riformismi. Questa soluzione ibrida nasconde il volto di una confederazione che relega tra le cose indecidibili i nodi dell’identità, con il risultato di una carenza ideale-simbolica sempre più evidente. Un adeguamento del nome, sulla scia di quello dato al gruppo parlamentare europeo, offrirebbe una giustificazione per l’avvio di un processo federatore aperto a nuove affiliazioni, individuali e collettive. Un nome nuovo come partito democratico e socialista favorirebbe una fase processuale di recupero di forze che è al tempo stesso la fondazione di una cosa nuova. Solo una tale apertura anche identitaria e simbolica potrebbe consentire una evoluzione organizzativa di stampo neolaburista.
Accanto alle affiliazioni individuali che si esprimono nelle assise congressuali, vanno riconsiderati i patti che il partito, al momento maggioritario, stringe con gruppi, correnti, sigle, partiti minori dell’arcipelago della sinistra, con culture che vanno dalle sensibilità liberaldemocratiche e garantiste, alle idealità cristiano-sociali a quelle femministe, ambientaliste e comuniste. Il fallimento del Pd, e lo scacco di tutti i tentativi di costruire una alternativa di sinistra al Nazareno, richiedono una sorta di amnistia delle idee che rimette tutto in gioco per tracciare una risposta efficace all’impasse storico-strategico odierna.
Il partito ultraleggero delle primarie ha dilapidato in breve tempo il consenso strutturato con grande fatica disegnato per avviarsi alla ricerca del gradimento effimero del passante occasionale dei gazebo. Nel processo costituente, oltre ai singoli, vanno esplicitamente nominati i soggetti sociali collettivi con i quali si stipula una stringente intesa di programma e anche di rappresentanza. Il partito del lavoro stringe un contratto politico-sociale con i sindacati, la cooperazione, l’impresa diffusa raccolta dal Cna, le assicurazioni, la confesercenti, le associazioni del mondo agricolo e ambientale-ricreativo, insomma tutte le grandi invenzioni del dopoguerra adesso spoliticizzate per l’incuria prolungata, con l’aggiunta dei nuovissimi mondi del lavoro autonomo e precario nel politicamente invisibile.
Se invece di perseguire un disegno di respiro politico più lungo, il cui esito è tutt’altro che scontato, si ripiega nel calcolo di una pura sopravvivenza, alla ricerca di accomodamenti e palliativi solo congiunturali, il disastro non è neppure rinviato di chissà quanto, diventa una eventualità imminente.
La risorsa tempo diventa sempre più scarsa. Orlando, Cuperlo, Landini, Furlan etc. dovrebbero provare a governare in sintonia l’ultima occasione politica per costruire una coalizione sociale ampia prima della nichilistica dissoluzione d’ogni cosa. Il rischio è di arrendersi a una destra legittimata dal “responsabile” apporto al governo Draghi, con una sinistra frastornata dalle bimbe di Conte e senza neppure l’illusione di un qualche Macron reincarnato pronto a fronteggiare i sovranisti pericolosamente alle porte.
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