L'intervista
Bendaud: “I partigiani non erano solo comunisti, così disinformazione e università alimentano l’intolleranza contro Israele”
Il saggista punta il dito contro la sinistra italiana: “Ha creato una nuova narrazione. L’antiebraismo è un prodotto intellettuale che ha cittadinanza nelle accademie”

L’antisemitismo torna a manifestarsi con violenza in Europa, e perfino figure simbolo come Liliana Segre vengono bersagliate da insulti e minacce. Quanto è profondo questo fenomeno e quali pericoli si nascondono dietro il riemergere dell’odio antiebraico? Ne abbiamo parlato con Vittorio Robiati Bendaud, esperto di storia e cultura ebraica, che offre una lettura lucida e senza sconti sulla crisi simbolica e politica che attraversa l’Occidente. Allievo del rabbino Giuseppe Laras, uno dei grandi intellettuali italiani dei nostri giorni, ora Bendaud è in libreria con Non ti scordar di me (Liberilibri) sulla storia e sull’oblio del genocidio armeno, con saggio introduttivo di Paolo Mieli.
L’antisemitismo torna a pulsare nel cuore dell’Europa, con tanto di insulti choc a Liliana Segre. Sono solo leoni da tastiera o il fenomeno è drammaticamente radicato?
«Gli insulti a Liliana Segre sono ignominia. Quanto all’antiebraismo, esso è costitutivo tanto delle società occidentali che di quelle islamiche. Quando una di queste società è scossa da potenti stress oppure precipita in una fase suicidaria, si riattiva questo odio specifico, che ha declinazioni diverse, talora persino opposte».
Ad esempio?
«C’è il tema del complotto ebraico, da Giuda Iscariota alla narrativa islamica riguardo presunte trame ebraiche contro Muhammad. Dalla narrativa religiosa è divenuto un topos politico, dai falsi Protocolli dei Savi di Sion all’ossessione per Israele nell’infiammata geopolitica mediorientale e caucasica. C’è il tema della specificità ebraica, volutamente deformata in settarismo spietato e asfittico nelle antiche polemiche patristiche, e poi ripresa, in ambito etico-politico, da Kant con la presunta avversione ebraica verso l’universalismo, sino all’accusa di iper-nazionalismo oggi a Israele e di “ostinate chiusure” all’ebraismo. C’è un incandescente e sofferto simbolico laddove, per emanciparsi dalle necessarie radici ebraiche, che sono una condizione di esistenza, le si diffamano, omettono, negano. O distruggono. Più una società è in crisi, più questo processo divampa».
E il 25 aprile abbiamo visto i pro-Pal scatenare la violenza e prendere di mira la Brigata ebraica. La sinistra è ancora troppo ambigua?
«Il 25 aprile è una gloriosa festa nazionale. Purtroppo soffre di un doppio cortocircuito simbolico, in larga misura alimentato dalla sinistra (ma non solo). Anzitutto, per un decadimento della cultura media e della società civile, di cui tutti sono responsabili, perdurato troppi anni, è stato usucapito dalla sinistra (e da certi cattodem), riscrivendo la Storia e umiliandola: tra i partigiani vi erano infatti molti liberali, azionisti, cattolici. Non solo i comunisti».
Anche gli anglo-americani ci hanno aiutato…
«Esatto, ossia il mondo democratico-liberal-capitalista, più o meno basato sulle libertà economiche dei singoli e quindi sulle libertà individuali. E questo vede convergere l’avversione di certo collettivismo pauperista cattolico, di molta sinistra e di molta destra fascistoide. Tradotto: senza le libertà economiche, e dunque le libertà personali-individuali, potevamo scordarci molti progressi benedetti, avuti solo in Occidente, contro razzismo, omofobia, antisemitismo, misoginia. Ma è duro ammetterlo per molti».
La sinistra, in tutto ciò, che fa?
«Molta sinistra ha purtroppo fatto proprio, in senso terzomondista, quell’elemento nazifascista, creando una nuova narrazione, che alimenta nuovi e vecchi cortocircuiti (e persino odio). Vi sono comunque dissenzienti che cercano, per senso di onestà e di verità storica, di fuggire da questa deriva dilagante: penso ad esempio a Piero Fassino. Chi sa che mentre il Muftì nazista palestinese al-Husayni diffondeva il suo veleno e armava la SS islamiche bosniache, altri musulmani, sfidandolo – e sfidando i nazisti – salvarono gli ebrei e che poi degli ebrei salvarono, anche con l’aiuto di Israele, centinaia di musulmani di Sarajevo durante l’ultimo conflitto?».
E le università?
«L’antiebraismo, quello vero, non è un prodotto dell’ignoranza del volgo (quello è il fatto macroscopico a valle). I popoli, purtroppo a loro stesso detrimento, ne sono talora il braccio armato. Esso è anzitutto un prodotto intellettuale (la sorgente a monte), e come tale ha sempre avuto piena cittadinanza nelle accademie. Ricordiamoci che furono più i giusti umili a salvare chi non aveva scampo che i professori universitari, i “leoni in cattedra”».
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