Gli Azzurri ricordano un anno dalla scomparsa di Silvio Berlusconi, l’inventore del nuovo centro riformatore (e del modello italiano di centrodestra) della seconda Repubblica.
Il Riformista ha chiesto a Deborah Bergamini, che di Berlusconi fu la portavoce ed oggi è vice-segretario di Forza Italia, responsabile del Dipartimento Esteri e dei rapporti con la stampa internazionale del partito e vice-capogruppo alla Camera dei deputati,

Forza Italia nacque per una felice intuizione di Berlusconi: unire riformisti, liberali, popolari e centristi. Un progetto non facile da replicare altrove.
«Direi impossibile, ieri come oggi. Nel 1994, il grande obiettivo di far convivere sensibilità diverse sotto il grande valore della libertà, dopo la disgregazione dei partiti della seconda metà del secolo, fu possibile solo e soltanto grazie a un leader già ben abbracciato all’immaginario collettivo, che seppe tradurre in gesto politico quella capacità di innovare e leggere la società dimostrata da imprenditore. Oggi, la continuazione di quel progetto è possibile solo e soltanto nel solco della sua eredità, il cui spazio naturale è esclusivamente in Forza Italia. Non in altre realtà, né nella nostra coalizione né altrove. Questo è molto chiaro a un anno dalla scomparsa del nostro Presidente. Abbiamo una missione storica: aggiornare costantemente il concetto di libertà di fronte ai cambiamenti epocali in corso».

Su quali temi dovrebbe essere aggiornato il concetto di libertà?
«Pensiamo, per esempio, alle nuove forme di organizzazione del lavoro nella ‘on demand economy’, pensiamo alla tecnologia che chiama a nuove sfide anche educative, o al nodo del rapporto fisco-cittadino che stiamo cominciando a sciogliere. Per non parlare, poi, della condizione dei diritti umani in molte parti del mondo che chiama anche noi a un impegno».

Le elezioni europee hanno visto disperdere 1.700.000 voti, vuol dire che la domanda c’è, la politica deve saper rispondere…
«Noi abbiamo iniziato a farlo. Ci siamo sottratti alla logica della polarizzazione ad alto tasso di decibel di questa campagna elettorale, perché crediamo che il momento storico richieda un primato delle idee sui fuochi d’artificio, della responsabilità sui protagonismi. Di fronte a qualche insulto di troppo ricevuto non abbiamo voluto reagire, pensando solo a dialogare con i cittadini. Il risultato del voto ci ha dato ragione e la quota dell’astensione indica una grande potenzialità per noi, in quello spazio, per dirla con Antonio Tajani, che va “da Giorgia Meloni a Elly Schlein”».
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Renzi e Calenda potrebbero essere interlocutori di Forza Italia, o addirittura alleati?
«Direi che i loro elettori lo sono già. Per quanto riguarda i due leader, a livello regionale non abbiamo chiuso le porte quando hanno voluto condividere il programma elettorale con i candidati presidenti che abbiamo espresso. E’ accaduto in Basilicata, con entrambi. O in Piemonte, con il solo Calenda. Per il bene comune si deve sempre dialogare. Per un’alleanza strutturale, invece, mi pare esistano delle differenze identitarie, di toni o postura assai rilevanti».

Temi della libertà, dei diritti, del garantismo, della crescita uniscono il terzo polo più al cdx che al csx. Si può partire da un lavoro congiunto sulle riforme? Giustizia, premierato…
«Ben venga se in Parlamento alcune forze, fuori dal perimetro della maggioranza, dimostreranno di volersi seriamente confrontare con noi su alcuni dei nostri temi qualificanti. Sarebbe la conferma che questo governo non ha un’agenda ideologica, anzi che il Paese ha saputo superare la dimensione ideologica della politica. E che l’intendimento di Forza Italia di legiferare per avere un Paese più “veloce” trova apprezzamenti trasversali».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.