Nel “Si&No” del Riformista spazio al ricordo di Silvio Berlusconi, scomparso nelle scorse ore. La domanda la centro del dibattito è la seguente: “Ha cambiato l’Italia in meglio?”. Interpellati il giornalista Paolo Guzzanti, secondo cui l’ex premier “ha trasformato politica e società, era un conservatore che amava il progresso“, e il costituzionalista Stefano Ceccanti. “Fu l’immobilismo a produrre un’innovazione sbagliata” sostiene.

Qui l’editoriale di Guzzanti:

Come conservatore, Berlusconi era un gran progressista: un artigiano che appena venduto un appartamento si vestiva da operaio e saliva sulla scala per dipingere un soffitto. Fabbricava materialmente le cose. E anche concettualmente: capovolgeva vecchi protocolli e ne inventava di nuovi. Quando vide che la sua televisione condominiale era cresciuta, ma legalmente non poteva coprire il territorio nazionale, escogitò l’idea di un gruppo di spericolati al volante che portavano al cinema di un paese la cassetta del primo tempo, per tornare in un altro Paese il pezzo mancante e così tutti gli italiani avevano l’illusione collettiva di vedere tutti lo stesso film. Ma non era un’illusione: era tutto vero. Tutte quelle automobiline erano il futuro. Quando Matteo Renzi cominciò a emergere come astro nascente con una marcia i più, gli chiesi che cosa ne pensasse. Di lui era orgoglioso e un po’ geloso: “Renzi è cresciuto nel berlusconismo, disse, è cresciuto con il nostro sistema di comunicazione”.

Voleva da sempre cose che gli apparivano ovvie, come un fantastico ponte sullo Stretto che avrebbe liberato la Sicilia dalla sua solitudine. Volere la modernità gli sembrava – e forse è – una cosa di sinistra: perché quel che voleva Berlusconi era andare verso il progresso. Però si rese conto molto presto, già negli anni Sessanta, che non tutta la sinistra è progressista ma che esiste anche una sinistra conservatrice affezionata al vecchio e resistente al nuovo, tendenzialmente luddista. E capì che per potere raggiungere dei cuori politicamente lontani era indispensabile fare dell’ottima comunicazione. “Comunicazione e informazione, diceva spesso, non sono la stessa cosa. Le informazioni sono a portata di tutti ma le emozioni vanno costruite, vanno distribuite e somministrate in modo tale da procurare felicità: noi facciamo una televisione generalista, il che vuol dire che tutti i nostri inserzionisti devono essere contenti, non possiamo fare discriminazioni o privilegiare qualcuno”.

Era molto ammirato da uomini come Lee Jacocca, che si erano fatti da soli portando avanti le grandi novità. Ma Berlusconi non aveva nulla dell’imprenditore anglosassone o tedesco. Si vantava di cantare un buon francese, ed era vero, ma pensava e ragionava in lombardo. E questo lo rendeva un uomo popolare capace di esprimere un altissimo livello di comunicazione che può mettere d’accordo milioni di persone. Tutto il berlusconismo è consistito in questo: nel programma di andare più avanti possibile in un sistema capitalista temperato in cui c’è spazio anche per le grandi opere pubbliche, ponti strade e ferrovie ad alta velocità, presentando persino gli aspetti più goderecci della libertà, o anche del libertinaggio.

Milano Due, la sua prima vera attività imprenditoriale, fu considerata un modello di urbanistica moderna, con molto verde pubblico e una eccellente organizzazione dei trasporti. Gli articoli degli anni Settanta su Berlusconi erano in genere benevoli, positivi e lo diventarono perfino di più quando Berlusconi si legò a Bettino Craxi e alla sua idea di un Paese da ricostruire.

Quando andai per la prima volta ad intervistarlo ad Arcore, mi venne incontro quest’uomo scattante, sorridente e di una spontaneità ben curata ma in maniche di camicia, mentre i suoi dipendenti portavano la cravatta. All’orizzonte si profilava la grande novità: le elezioni sarebbero state vinte dal partito comunista ribattezzato PDS visto che ormai non c’era più alcuna guerra fredda. E allora cominciò a pensare in quale modo avrebbe potuto scardinare un modello di presa del potere che sembrava invincibile dal momento che le bandiere di tutti i partiti erano cadete nel fango. Sappiamo come andò la storia e ne dimentichiamo la sua unicità: quello di Berlusconi è l’unico caso di un industriale che aspettando una riforma della politica, diventò lui stresso un politico con l’ambizione di aprire la strada alla modernità.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.