Il punto non è più “se” ma “quando e come”. La voce corre in modo trasversale tra i vari senatori presenti a palazzo Madama per ascoltare e votare la relazione del ministro della Giustizia Marta Cartabia sull’amministrazione della giustizia. Un intervento lungo (50 minuti) che magari non ha strappato troppi applausi ma nella pausa ha spinto molti senatori, soprattutto Lega, al banco del governo per scattare selfie con la ministra. Che poi chissà, magari diventa premier o anche Capo dello Stato. Ci hanno provato anche con Pierferdinando Casini, un altro quirinabile ben quotato in queste ore, che però si è sottratto al rito del selfie.

«Tra domani e dopo, il Cavaliere rinuncerà all’investitura ricevuta dal centrodestra» dicono in momenti diversi almeno quattro senatori di quell’area. «Bisogna vedere come lo fa – aggiungono – e su chi metterà la mano per l’investitura al Colle». La versione prevalente è che dovrebbe fare un discorso alla Nazione, e non solo ai leader della sua coalizione, ringraziando per la stima e gli attestati ricevuti in questi mesi di campagna presidenziale. Il suo risarcimento politico è già questo. Ma per evidenti motivi di salute – fare il Presidente della Repubblica è un lavoro faticoso – non è in grado di assicurare la qualità e la quantità di impegno ed energie necessarie al ruolo. Smessi i panni del candidato, un secondo dopo il Cavaliere assumerà quelli del padre della patria e indicherà quella che, dal suo punto di vista, sarà la soluzione migliore. Sarà lui il kingmaker, il problem solver, che metterà i suoi voti a disposizione del candidato. Non lo farà fare né a Salvini né a Meloni – sarebbe un’abdicazione nei fatti – lo farà lui e soltanto lui. “In omaggio al paese che amo” visto che la comunicazione sarà l’ultimo capitolo, in ordine di tempo, della saga “l’Italia, il paese che amo”.

A quel punto, si calcola prima del fine settimana, il tavolo sarà liberato dal macigno Berlusconi (e si spera che nessuno si arroghi il diritto di aver messo il Cavaliere fuori dalla partita) e, spiega una fonte di governo area centrosinistra, «potremo svolgere e risolvere l’altra parte della partita», chi sarà il nuovo premier – se Draghi dovesse andare al Quirinale – e con quale squadra di governo. «È certo – dice la stessa fonte di governo – che Draghi accetterà di restare a palazzo Chigi se la maggioranza che vota il nuovo Capo dello Stato sarà larga tanto quanto quella che sostiene il governo attuale». Se lo spoglio delle schede confermerà, insomma, che al di là dei tatticismi di questi mesi e settimane ha prevalso tra le forze politiche il senso di responsabilità e la volontà di condurre il paese fuori dalla crisi sanitaria, economica e di sfruttare a pieno l’opportunità del Pnrr. Se la dinamica delle prossime ore confermerà le indiscrezioni raccolte in queste ore da più fonti parlamentari, ecco che diventa fondamentale capire quali saranno le indicazioni di Silvio Berlusconi, king maker del tredicesimo presidente della Repubblica.

«Non potrà che indicare Mario Draghi, chiunque altro di area centrodestra sarebbe inteso, o meglio frainteso, come suo erede o successore e lui, come è noto, non cerca né l’uno né l’altro» spiegava ieri mattina un senatore di Fratelli d’Italia. Se parli con i centristi, restano invece alte le quotazioni di Pierferdinando Casini («l’unico che è stato a pieno titolo nella coalizione di centrodestra, un liberale democristiano, che il Cavaliere considera digeribile»). E anche quelle di Franco Frattini, 64 anni, magistrato amministrativo, due volte ministro degli Esteri nei governi Berlusconi, commissario Ue e neoeletto presidente del Consiglio di stato. In picchiata le quotazioni di Casellati. Il bis di Mattarella – opzione che Berlusconi non è mai dispiaciuta – resta sempre sullo sfondo. Non resta che aspettare. E vedere che succede. Consapevoli che basta una frase di troppo e una telefonata sbagliata per far saltare la difficile costruzione in corso in queste ore dalle parti di Arcore e tra i fedelissimi del Cavaliere. Il vertice di centrodestra potrebbe quindi saltare. Dipende quando e se Berlusconi deciderà di tornare nel quartier generale di Villa Grande a Roma.

Tutto questo racconta che la partita sul Presidente della Repubblica viene giocata nel centrodestra con Berlusconi indiscusso protagonista di queste settimane (lo ha capito anche il New York Times) e questa è di per sé un’operazione di successo per l’anziano leader. Viene giocata, da mesi, al centro da quei mediatori e pontieri, tra cui Matteo Renzi, lo stesso Gianni Letta, Matteo Salvini e Luigi di Maio – che hanno dovuto convincere un po’ tutti che l’elezione del Capo dello Stato è un’operazione politica dove nessuno può fare a meno dell’altro. E che quindi occorre dialogare e non arroccarsi dietro divieti e non possumus. Racconta anche di un centrosinistra per scelta spettatore della partita. Ieri mattina c’è stato l’ennesimo vertice a tre Letta-Conte Speranza – caffè e cornetto a casa di Conte – che si è concluso con un messaggio che, ancora una volta, può essere tradotto con due parole: giocare di rimessa, attendere.

Lo dice chiaramente il tweet con cui i tre leader hanno deciso di comunicare, quasi in simultanea intorno alle 10 e 30 e dai rispettivi account, il risultato della riunione. «Ottimo incontro con @giuseppeconte e @robersperanza. Lavoreremo insieme per dare al paese una o un presidente autorevole in cui #tutti possano riconoscersi. Aperti al confronto. Nessuno può vantare un diritto di prelazione. Tutti abbiamo il dovere delle #responsabilità». Non un nome, non una proposta, non una strategia. Un tweet che poteva andare bene un mese e mezzo fa. Che non fa fare mezza mossa alla coalizione di centrosinistra. Vero è che Conte ha grosse difficoltà nel Movimento: l’ex premier non vorrebbe Draghi al Quirinale ma al tempo stesso sa di non controllare il più grosso pacchetto di Grandi Elettori (232 voti). L’inchiesta penale su Beppe Grillo certo non aiuta. Anche dalle parti di Leu, compreso un pezzo di Pd, non gradiscono avere Draghi tra i piedi per sette anni al Quirinale. «Deve tornare la politica» dicono. Il problema è che Letta, invece, Draghi lo vorrebbe proprio al Quirinale. Insomma, un pasticcio. Con l’aggravante dell’assenza di proposte. «In questo modo, se Berlusconi è abile e tocca la testa giusta per il Colle, noi siamo fuori dai giochi» dicevano ieri due capi corrente del Pd.

Intanto nelle chat e nei conciliaboli dem tra Camera e Senato hanno cominciato a definire Letta, Conte e Speranza “i tre tenori”. Luciano Nobili (Iv) ha messo in fila i tre tweet e li ha commentati sui social: “Rocco e i suoi fratelli” immaginando che dietro questa comunicazione ci sia la regia di Rocco Casalino. I commenti dei dem sono al vetriolo: c’è chi la giudica una insopportabile vocazione minoritaria e c’è chi prevede un esito infausto per la già debolissima alleanza giallorossa, con un esplicito paragone alla sfortunata vicenda parlamentare del ddl Zan. «Mi chiedo che senso abbia» dice un senatore piddino del Sud «far sapere a tutto il mondo parlamentare che il nostro orizzonte di riferimento si ferma all’avvocato del popolo e ad un microscopico gruppo come Leu. Se è così, siamo davvero in braghe di tela».

Sempre che l’immobilismo giallo-rosso non scommetta sul fatto che Berlusconi alla fine non si ritirerà, arriverà alla quarta votazione per contare veramente i suoi numeri aprendo così le porte a Draghi dalla quinta votazione. Uno scenario che provocherebbe elezioni anticipate, secondo molti il vero piano segreto di Letta. Che potrebbe tentare a quel punto anche l’azzardo di fare implodere l’alleanza di centrodestra nelle urne presidenziali. Quello che nel 2013 Berlusconi fece al centrosinistra che, convinto di farcela, bruciò invece ben due Presidenti della repubblica. Un passaggio che ha segnato il destino del Partito democratico. Quale che sia la strategia, i malumori tra i dem e tra i 5 Stelle stanno aumentando e con loro il numero dei franchi tiratori qualora mai Letta e Conte dovessero dare un’indicazione di voto. Nel pomeriggio Conte è stato un’ora a colloquio con Di Maio alla Farnesina. E Letta con Nicola Fratoianni, il leader di Sinistra italiana da tempo all’opposizione. È in questa direzione, a quanto pare, che la coalizione giallorossa intende allargarsi.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.