Trump non ha avuto tutti i voti che si aspettava e ha cantato vittoria troppo presto, ma qualcosa è realmente accaduto: la carta degli Stati Uniti è macchiata più di rosso repubblicano che di blu democratico, E la Presidenza di Joe Biden traballa comunque, sia per le condizioni vacillanti di un presidente fisicamente non in forma, sia perché il popolo americano tutto sente di nuovo la morsa della disperazione. L’America è tremendamente sensibile all’andamento quotidiano dell’economia, della borsa, dell’occupazione, perché nulla è mai certo per nessuno e quando i supermercati vendono uova che costano il triplo di un anno fa e c’è il rischio che le aziende chiudano la tragedia esistenziale è molto più violenta di quanto lo sia da noi in Europa. Questo è uno dei motivi per cui probabilmente la pace in Ucraina sta diventando un oggetto non soltanto del desiderio, ma della realtà.

Come possano stare insieme le trattative di pace in Ucraina con la massaia del Midwest, non è poi così complicato capire: il contribuente americano che non trova i beni primari a prezzi accessibili, si rende improvvisamente conto del fatto che il suo paese sta mantenendo in vita un altro paese lontano come l’Ucraina aggredito dalla Russia, e lo fa prelevando direttamente dal suo portafoglio. Joe Biden ha già mandato a dire a Zelensky che la fase di contrattacco per ora vincente è finita e che gli Stati Uniti non possono seguitare ad alimentare il suo esercito con armi tecnologiche per sempre e che quindi è arrivata l’ora delle trattative. Questo era già accaduto nei giorni scorsi quando si è diffusa la notizia di un alterco telefonico fra il presidente americano e quello ucraino, anche se si disse che la ragione della lite fosse nella opacità dei piani di Kiev dove uno stato maggiore segretissimo prende decisioni militari brillanti e ad altissimo rischio (come quello di usare missili per colpire obiettivi in Russia come i depositi di combustibile, di munizioni e di mezzi di trasporto blindati. Nessuno a Washington ha voglia di una escalation e anzi i capi militari americani e russi hanno creato un canale comunicativo perenne per andare avanti verso il cessate il fuoco ed evitare i rischi di un errore irreversibile come quello di un’esplosione atomica.

Il ruolo giocato da Trump è quello di un outsider spericolato ma competente che non ha mai voluto frizioni serie con la Russia e che seguita a ripetere che se ci fosse stato lui alla Casa Bianca avrebbe evitato questa guerra dalle conseguenze economiche catastrofiche prima di tutto per gli Stati Uniti. Trump ha deciso di annunciare pubblicamente fra due settimane la sua decisione di correre di nuovo per la Casa Bianca, cosa che ha un effetto destabilizzante a Washington perché i democratici si sono resi conto del fatto che in America è nato un nuovo genere politico che non è precisamente di destra perché è fortemente libertario e di sicuro non è di sinistra perché detesta ogni forma di socialismo. Trump ha fascino, e molti americani si sono convinti che sia stato un presidente avventuroso se non pacifista, almeno pacifico. Sotto la sua Presidenza, diversamente da tutte le precedenti gli americani non hanno compiuto alcuna azione militare, salva un bombardamento senza vittime su un aeroporto siriano che il governo di Damasco intendeva occupare. Le sue chance di vincere nel 2024 aumentano perché Joe Biden è un uomo orgoglioso e anche un po’ testardo che rifiuta di dimettersi per le sue condizioni di salute traballanti e per ora non si vede all’orizzonte neanche un forte candidato da contrapporre ai repubblicani. Ma nel campo repubblicano anche Donald Trump ha la sua spina nel fianco ed è lo stravincente governatore della Florida, Ronald DeSantis, appartenente al suo stesso partito e con dichiarate ambizioni di succedere a Biden.

L’attuale presidente ha deciso di giocare subito la carta della pace ma non sarà una pace senza costi. In questo momento funzionari americani, ucraini, russi e secondo alcuni anche cinesi sono in contatto quotidiano attraverso piattaforme protette. Il mondo intero è frattanto senza fiato perché dopo decenni di pace quasi stabile, in tre anni si è visto recapitare una pandemia, una carestia, una guerra, l’inflazione, la crisi dell’energia. E per la prima volta ha assistito a un dibattito tenebroso sulla possibilità di usare armi nucleari senza l’angoscia diffusa ma utile che aveva la funzione di imporre la pace grazie a un principio cinico ma vincente: se tu mi uccidi, prima di morire, ti uccido anch’io. Non ci saranno vincitori né vinti ma un day after con ritorno alle caverne.
Questa guerra in Ucraina non è piaciuta a nessuno e in particolare non è piaciuta ai nuovi amici della Russia: in particolare non è piaciuta a Xi Jinping appena incoronato imperatore a vita come Mao Zedong e al premier indiano Modi che sta installando una democrazia autoritaria nella più grande ex colonia inglese. Abbiamo assistito allo straordinario equilibrismo del presidente turco Erdogan che sta nella Nato (e provvede di droni micidiali le forze armate ucraine) e ha ottimi rapporti con Putin perché non ha partecipato alla politica delle sanzioni e che ha pure un eccellente rapporto anche con la Cina.

La Cina, formalmente grande partner ideologico della Russia, sta lavorando per una pace che favorisca gli affari già da prima che l’invasione iniziasse. Il summit di Samarcanda non ha sostenuto Putin e non ha riconciliato Mosca con Pechino sulla questione ucraina. Il ritorno di Trump è stato incredibile: la scorsa notte era sempre nella sua stazione televisiva dove si comportava come uno sperimentato anchorman e faceva lo spiritoso su tutte le sconfitte democratiche, contea per contea. E chiamando per nome tutti i vincitori repubblicani ciascuno dei quali era invariabilmente “un gran bravo ragazzo”, a very nice guy. E poi ha confermato che il 24 prossimo darà l’annuncio a tutti gli americani di buona volontà di candidarsi per la seconda volta alla Casa Bianca. in campo democratico alla depressione prevista e anzi già molto avanti si è aggiunta la paura dell’effetto Trump accompagnato dalle sue folle esaltate. Alla Casa Bianca Biden ha deciso di giocare la carta del difensore delle libertà democratiche, difensore dell’aborto malgrado il pronunciamento dalla Corte Suprema, difensore dell’Ucraina aggredita ma più che altro difensore della pace perché oggi è nelle condizioni di costringere Zelensky ad aprire un percorso di trattative che sarà lunghissimo con molte regressioni e crisi.

Donald Trump, che ha sempre sostenuto che se lui fosse stato la Casa Bianca non ci sarebbe stata alcuna guerra, ha riallacciato e rafforzato i suoi contatti diplomatici personali con i dirigenti russi, ucraini, cinesi, indiani. Avevamo detto prima che Xi Jinping si è completamente distaccato da Putin anche se condividendo gli slogan antioccidentali comuni a una ventina di paesi che si definiscono “nemici dell’occidente”. Qui la cronologia è ingarbugliata e spesso smentita dai protagonisti. Ricordiamo tutti che Vladimir Putin andò a Pechino all’inizio delle Olimpiadi facendosi accogliere trionfalmente e con un grande sforzo di propaganda da parte cinese per dichiarare la comunità di intenti e di azioni delle due potenze. Quando la guerra arrivò il ventiquattro febbraio, la comunità diplomatica internazionale concluse che evidentemente Putin era andato a Pechino per avvertire il presidente cinese della sua imminente “operazione militare specials” e vista la grandiosità dei festeggiamenti a Pechino dava per scontato che Xi avesse concesso la sua “luce verde”. Ad agosto una rivista scientifica e storica cinese ha rivelato che in realtà Putin non disse nulla al presidente cinese ma andò a Pechino per far credere al mondo che la Cina fosse con lui, barando. Una sola linea collega per ora le fragili ma molteplici speranze: nessuno vuole la guerra perché ogni nazione ha un interesse vitale per mantenere aperte le vie del commercio, pena la fine dell’economia proprio e altrui.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.