L'intervista
Intervista a Massimo Teodori: “Trump gioca allo sfascio ma perderà”
«Il pericolo non è nelle votazioni, ma è nell’esaltazione, fatta da Trump, del Nemico: quello interno, i neri, e quello esterno, i cinesi. Quello di Trump è un calcolo cinico, un azzardo che può far esplodere l’America: più si diffondono le proteste sociali e gli scontri razziali dei neri, più le sue quotazioni, oggi in ribasso, possono migliorare. Donald Trump è sempre stato un presidente divisivo, da oggi al voto di novembre lo sarà ancora di più». Ad affermarlo, nella conversazione con Il Riformista è uno dei più autorevoli studiosi del “pianeta Usa”: Massimo Teodori, professore di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti. Tra i suoi libri sull’America, ricordiamo: Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti (Marsilio, 2017); Obama il grande (Marsilio, 2016); Storia degli Stati Uniti e il sistema politico americano (Mondadori, 2004) e, dal 20 maggio in libreria, Il genio americano. Sconfiggere Trump e la pandemia globale (Rubettino, 2020).
L’America è in rivolta. Le proteste si estendono a macchia d’olio, mentre cresce il bilancio delle vittime. Trump minaccia di mobilitare l’esercito contro i manifestanti, riesumando l’Insurrection Act. Cosa sta accadendo, professor Teodori?
Sta accadendo che la brutale uccisione di Minneapolis, è stato il colpo di pistola di Sarajevo. Un colpo che ha fatto deflagrare la protesta in tutti gli Stati della federazione, a Est come ad Ovest. Ma quella rabbia non nasce con la morte di George Floyd, essa deriva da due elementi generali: il primo, è la politica di Trump, che non ha mai condannato gli atteggiamenti violenti dei gruppi razzisti ed estremisti come quello che non molto tempo fa ha imbracciato le armi al parlamento del Michigan. Quella manifestata da Trump e dai suoi più ascoltati collaboratori, gli ideatori dell’America first, è una ambiguità sostanziale verso l’estremismo suprematista bianco. Alla quale si aggiunge il suo atteggiamento generale verso i settori non bianchi, che sono diventati un obiettivo discriminatorio della sua politica. Vede, il razzismo in molte autorità e polizie locali c’è sempre stato, è qualcosa di endemico. Il punto di svolta, nella sua estrema gravità, è che Trump ha permesso che questo atteggiamento venisse fuori, lo ha legittimato, sdoganato politicamente, permesso di rivelarsi e manifestarsi senza più freni, finendo per alimentare quel razzismo endemico che pure percorre la società americana. Il secondo elemento generale, è che la pandemia ha colpito duramente fasce marginali, povere, della gente di colore. In queste fasce, i morti per il Covid-19 sono state tre volte di più dei bianchi. La crisi pandemica ha rivelato, in tutta la sua tragicità, la disuguaglianza dei marginali che sotto Trump è diventata ancora più cronica ed estesa di quanto fosse in precedenza. Non va dimenticato che Trump ha combattuto apertamente anche le minime riforme sull’assistenza pubblica in campo sanitario, l’“Obamacare”, introdotte da Obama. Questo si è riflesso chiaramente su come le fasce più deboli e marginali hanno affrontato la pandemia.
Il genio americano. Sconfiggere Trump e la pandemia globale. È il titolo del suo libro da pochi giorni nelle librerie. The Donald non è invincibile…
Trump oggi è in netto declino di consensi. La mia opinione è che se non accadranno eventi straordinari, sarà battuto alle elezioni di novembre. A questo proposito, vale la pena fare un passo indietro nel tempo. Nel 2016, in realtà non c’è stato un travaso di voti dai Democratici ai Repubblicani. L’elezione di Trump deriva esclusivamente dalla presenza di terzi candidati che sono stati quelli che in alcuni Stati in bilico – Pennsylvania, Michigan e Wisconsin – hanno fatto pendere la bilancia elettorale verso Trump, garantendogli la Casa Bianca. Quei candidati terzi provenivano dalle fila dei sostenitori alle primarie Dem di Bernie Sanders, il quale, per verità storica, non ha mai fatto endorsement verso Hillary Clinton. C’è una legge aurea delle presidenziali americane: se c’è un terzo candidato minore di destra, fa vincere i Democratici. Se c’è un terzo candidato minore di sinistra, fa vincere i Repubblicani. Così era accaduto alle elezioni di George W. Bush, così si è ripetuto con Trump: il voto verde e libertario, tanti voti, indirizzandosi verso candidati terzi, hanno contribuito in misura cruciale alla vittoria di Trump. Trump è minoritario nel Paese, anche se la platea dei suoi sostenitori è molto compatta e militante, che è poi quella che gli ha dato la vittoria alle primarie repubblicane del 2016. Se oggi non ci saranno terzi candidati che prendono dei voti a sinistra, e se gli afroamericani e i latinos vanno a votare in massa, allora Biden ha ottime chance di vittoria. Però da qui a novembre c’è un pericolo…
Qual è questo pericolo, professor Teodori?
È che Trump, vedendosi ormai in discesa di consensi, accentui lo scontro, come sta facendo in questo momento, ricorrendo magari a decreti presidenziali che non devono passare per il Congresso, sostenendo che c’è un nemico interno, e presentandosi agli americani non come presidente ma come commander in chief. Il pericolo non è nelle votazioni, ma è nell’esaltazione del Nemico: quello interno, i neri, e quello esterno, i cinesi. Di fronte alle proteste violente, Trump ha risposto calzando l’elmetto e minacciando il ricorso alle armi dell’esercito che, nello Stato federale, non ha diritto di intervenire sull’ordine pubblico. Ma questo Trump e i suoi consiglieri lo sanno bene, ma ciò che a loro interessa è il messaggio che lanciano. Con un unico obiettivo, costi quel che costi: crescere nell’America bianca.
Nell’opinione pubblica americana c’è consapevolezza di tutto ciò?
L’America è spaccata in due, ed è inutile negarlo. Se guardiamo agli altri presidenti fino a Trump, tutti, naturalmente con diverse inclinazioni politiche e di visione, hanno cercato, non sempre riuscendoci ma comunque ci hanno provato, di unire l’America. Trump, invece, ha seguito la linea esattamente opposta, e cioè quella di accentuare le divisioni esistenti nella società americana, che più che sociali sono antropologiche e culturali. A supporto di questa considerazione, c’è un dato elettorale, estremamente significativo, che riguarda sia le presidenziali del 2016 che le elezioni di midterm: tutte le città sopra i 200mila abitanti, sia negli Stati democratici che in quelli Repubblicani, c’è stata sempre una larga maggioranza per i Democratici. Al contrario, in tutte le contee con piccoli centri e nelle campagne, anche negli Stati dem, hanno vinto i Repubblicani: nei medio-grandi centri urbani a prevalere è un atteggiamento liberal, nei piccoli centri e nelle realtà rurali, a prevalere è il populismo. Una tendenza che vale anche per l’Europa. Questo in America è chiarissimo: quello Democratico è un partito urbano, mentre i Repubblicani hanno sempre più la connotazione di un partito dei sobborghi, rurale e tradizionalista.
Trump che “imbraccia” la Bibbia davanti alla St. John Episcopal Church, vicina alla Casa Bianca, conosciuta come la Chiesa dei presidenti. Che segnale ha voluto dare e a chi?
Lui sa che la sua base è una base tradizionalista di quella parte degli evangelici del Sud e dell’Ovest antiliberale e reazionaria. Dietro quel gesto, c’è un messaggio politico rivolto a loro: sono io a difendervi e a difendere la “nostra America”.
Diversi analisti giudicano troppo “morbida” la risposta della dirigenza Dem. È anche lei di questo avviso?
Non sono d’accordo con questo giudizio. I leader democratici non intendono inseguire Trump nella corsa a chi alza più i toni e fa dichiarazioni incendiarie. Non si tratta di tenere un low profile, ma di comprendere, e questo Biden lo sa bene, che le elezioni in America si vincono al centro, e non sulle estreme. Trump e i suoi hanno già cominciato ad accusare i Democratici di essere conniventi con i violenti e i saccheggiatori. Questa è una red line che Biden non può e non vuole, giustamente, superare.
Professor Teodori, nonostante crisi, non solo pandemiche, l’America resta l’iper potenza mondiale. Perché, come europei, ed italiani, dovremmo essere incollati al televisore nella notte presidenziale del 9 novembre?
Perché fino a Trump, anche se con accenti diversi e con alterne fortune, l’America è stata la guida dell’Occidente liberaldemocratico. Con Trump, il presidente nativista e populista, tutto questo è stato interrotto, con un’America che guarda a se stessa ed è indifferente alle storiche colleganze internazionali. D’altro canto, non è certo un mistero che Trump guardi con simpatia a personaggi come Putin, Erdogan e simili autocrati, perché è quello che lui vorrebbe essere in America. Ma fino ad oggi, il sistema americano, fondato sullo stato di diritto, su pesi e contrappesi istituzionali, sui diritti dell’individuo, ha resistito alle pulsioni illiberali di Donald Trump.
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