Certo è che il centrodestra ha davvero uno strano modo di scegliere e promuovere i propri candidati. Prima li individua, poi li offre alla scena, quindi comincia a colpirli ai fianchi, a offenderli, a delegittimarli; e infine li conferma, come se fosse del tutto naturale procedere così. E per giunta senza una parola di scuse, senza un atto di contrizione, ma semplicemente facendo finta di nulla, in ossequio non solo a quella superficialità dei comportamenti che sta deprezzando la politica, ma anche al peggior tatticismo: dal momento che anche la tattica implica, come è ovvio, intelligenza e disciplina, essendo altrimenti solo avventurismo autodistruttivo.

Tuttavia, è esattamente ciò che è successo con Stefano Caldoro, difeso unicamente da una parte del suo partito, mentre altri, noncuranti della sua storia personale e meno ancora di quella della famiglia riformista a cui appartiene, dicevano che non garantiva l’unità della coalizione, che era un “prodotto” usurato, che aveva già dato, che non era adeguato allo scontro con un marpione come De Luca e che a conti fatti sarebbe stato molto meglio preferirgli un ex pm antimafia, affidandosi a costui fideisticamente, neanche fosse stato San Gennaro. Alla fine sarà però Caldoro a sfidare De Luca per la terza volta. È ufficiale. Si parlò di “bella”, quando la candidatura venne annunciata da Berlusconi, e bella sarà: perché la prima volta, dieci anni fa, vinse lui e la seconda il governatore in carica.

Nel frattempo – dall’annuncio alla conferma – è però successo di tutto. Ed è per questo che ora la coalizione di centrodestra è in forte debito con il suo candidato: un debito che è difficile possa essere onorato, dal momento che per saldare bisogna prima di tutto essere in vita, e già questo, allo stato attuale, dopo le numerose defezioni registrate e mesi e mesi di campo libero lasciato a De Luca, è da dimostrare. Nel comunicato ufficiale si dice che «il centrodestra ha individuato la squadra migliore per vincere le elezioni nelle Regioni». Ma attenzione: il riferimento è all’insieme delle candidature locali prossime e future (si sa già, ad esempio, che la Lega avrà quelle per i sindaci di Reggio Calabria, Andria, Chieti, Macerata, Matera e Nuoro).

In Campania, invece, è come se il centrodestra dicesse: cari elettori, volevamo proporvi di meglio, abbiamo anche cercato, ma perché non abbiamo trovato, e qualcuno ci ha anche lasciato con le ruote a terra, beccatevi quello che c’è. Tafazzi, simbolo indiscusso del masochismo nazionale, non avrebbe saputo fare meglio. Perciò va detto subito che se a nessuno, in linea di principio, può essere augurato un trattamento del genere, tanto più è deplorevole che una cosa del genere sia accaduta nei confronti di Caldoro. E non solo per le ragioni già dette, ma perché parliamo di un signore della politica, uno che non ha mai lanciato un’offesa o un’allusione all’indirizzo di un avversario; e che ha già pagato un pezzo altissimo una volta, quando altri amici di partito confezionarono un dossier falso per metterlo fuori gioco dopo la prima elezione.

E dunque sarebbe stato semmai lecito aspettarsi un di più di riguardo. Per tutte queste ragioni, Caldoro parte in posizione di svantaggio. Ma se la legittimazione negata gli sarà davvero restituita, a cominciare dalla scelta dei candidati (“saranno di qualità sotto ogni aspetto”, promette il centrodestra) e tenendo a freno il protagonismo di Salvini ( magari portandolo lontano da spiagge e citofoni) allora non è detto: la partita con De Luca potrebbe anche finire ai rigori.