C’è stata un’epoca in Argentina dopo il golpe militare del 24 marzo 1976, in cui avere in tasca un passaporto italiano poteva voler dire aver salva la vita. Enrico Calamai, allora giovane console italiano a Buenos Aires, di passaporti ne ha firmati tanti. Rischiava la sua pelle, ogni volta. Accompagnava da solo, in macchina, sul nastro grigio dell’autostrada tra i posti di blocco fino all’aeroporto di Ezeiza, singole persone terrorizzate in fuga verso la salvezza, verso l’esilio.

Sfidava i militari argentini. E i suoi superiori italiani. Perché dalla nostra ambasciata, complice del regime, non arrivavano lasciapassare per i perseguitati dai militari golpisti. Erano state messe delle inferriate all’ingresso, così che a nessuno venisse in mente di rifugiarsi lì dentro e chiedere protezione alla rappresentanza diplomatica di Roma. Nel terrore delle retate, chi si sentiva con le ore contate aveva una corsa contro il tempo da vincere: riuscire a incontrarsi con quel giovane console prima di incrociare una delle Falcon a fari spenti con cui gli scagnozzi del generale Videla andavano a prelevare i sospetti dissidenti casa per casa, strada per strada. Il 25 settembre il nome di Enrico Calamai sarà nelle liste elettorali, candidato per Unione popolare a Roma, al proporzionale, al Senato.

Unione popolare non la conosce quasi nessuno. Spiega lei cos’è?
Unione popolare nasce nel tentativo di unire partiti, movimenti della sinistra che non si sentono rappresentati nell’attuale Parlamento, molti dei quali sono eredi di passate formazioni. C’è Rifondazione che ha un passato importante politicamente da tener presente nella legislatura che finisce adesso e c’è una nuova formazione che è Potere al popolo che è nata nelle ultime elezioni e che è molto attiva nelle periferie, molto sensibile ai diritti dei lavoratori. In più c’è il coordinamento di de Magistris, che da sindaco di Napoli ha avuto una gestione della città onesta e apprezzata dai cittadini.

Lei, sempre cosí critico e diffidente dei partiti e dei movimenti politici in Italia negli ultimi decenni, perché ha accettato stavolta di candidarsi?
Perché ho vissuto in gioventù gli anni ‘70, anni di una crescita della sinistra e dell’inizio della parabola, del tramonto negli anni ‘80. E trovo che il programma di Unione popolare risponda alle esigenze esistenziali da me fortemente sentite: pace, giustizia sociale, sanità pubblica che funzioni. Tutte questioni spazzate via. Mi sento in sintonia con le persone che sono i vertici dei due partiti dell’Unione popolare e soprattutto ritengo che siano due formazioni sensibili alla tematica dei diritti, che è la mia materia, questione non presa per niente in considerazione nell’attuale ventaglio di partiti. Anzi è una materia che non porta ritorni elettorali e invece nel programma di Unione popolare c’è esplicitamente ad esempio il punto, per me centrale, della cancellazione del Memorandum con la Libia che è causa di infinite morti e violenze sistematiche di ogni tipo.

Ha sintonia anche con il de Magistris “manettaro”?
Io parlo delle riflessioni politiche che gli ho sentito fare e mi sembrano rispettose dei diritti in generale e anche di chi viene perseguito per motivi legali. Il suo passato di magistrato mi sembra lontano.

Voi non siete una forza politica favorevole a un cambiamento in senso presidenzialista della Repubblica, no?
No, certo che no.

E il nome di de Magistris nel simbolo che ci sta a fare?
E’ il risultato di un negoziato fra le forze politiche in campo in quell’ambito.

Nel programma di Unione popolare c’è la proposta di salario minimo lordo orario a 10 euro. Chi la critica vi dice che così, nella pratica, si favorisce il lavoro nero.
Non è che se il salario minimo è basso il lavoro nero sparisce. Il lavoro nero c’è a qualunque livello di salario. Secondo me quella proposta è un tentativo di uscire dal precariato in cui vivono i lavoratori e specialmente i giovani che sono inchiodati a situazioni di lavoro di precariato estremo e il salario è la sintesi delle condizioni di lavoro, occorre migliorarle, non tenerle basse. Non si evita nulla tenendole basse.

Nel vostro programma c’è anche la proposta di portare il reddito di cittadinanza a 1000 euro. Finanziandolo come? Prendendo i soldi dove?
Stiamo parlando di una ridistribuzione delle entrate fiscali e della spesa dello Stato, credo sia una cosa possibile ipotizzando una graduale uscita dalle logiche neoliberiste. Il problema non è tagliare la spesa ma cambiare la spesa, ad esempio ridurre la spesa militare.

Facciamo un’ipotesi. Immaginiamo che lei sia eletto in Senato, che la destra vinca le elezioni e che Fratelli d’Italia prenda molti più voti di Lega e Forza Italia messe insieme. Immaginiamo parta un appello da forze di centro a tutti gli eletti per costruire una maggioranza dopo il voto all’esplicito scopo di impedire l’ingresso dell’estrema destra a palazzo Chigi. Lei cosa fa, ci sta o dice “non mi sporco le mani”?
Io non sono in grado di fare previsioni sui passi a seguire nell’ambito di una dialettica ipotizzabile. Certo sporcarsi le mani fa parte della politica. Ricorda l’opera teatrale di Sartre che si chiama proprio “Le mani sporche”? Il protagonista dice al giovane idealista che poi lo ucciderà “in politica è necessario sporcarsi le mani di sangue e di merda”. Io così in astratto non le saprei dire. Credo che questa forza politica cui io ho deciso di aderire voglia evitare i compromessi della politica italiana di piccolo cabotaggio. Questo mi sembra essenziale ed evidente. In situazioni drammatiche come quella cui ha fatto riferimento si possono elaborare equilibri avanzati e temporanei. Però rispondere con un sì o con un no, al momento, mi sembrerebbe un po’ astratto.