Nel giorno in cui Luiz Inácio Lula da Silva ha ricevuto il diploma che certifica la sua vittoria nelle urne brasiliane, nella capitale Brasilia vanno in scena impressionanti quanto violente manifestazioni di piazza del fronte dei fedelissimi dell’ormai ex presidente Jair Bolsonaro.

Il ‘presidente operaio’, tornato alla politica dopo l’arresto per corruzione e la successiva proclamazione di innocenza, ha vinto come noto al ballottaggio del 30 ottobre scorso la sua sfida contro l’ex presidente populista di destra. Ieri, lunedì 12 dicembre, c’è stata la cerimonia formale presso il Tribunale superiore elettorale, col giudice Alexandre de Moraes che ha consegnato a Lula il certificato: il diploma consente formalmente a Lula e al suo vice, Geraldo Alckmin, di assumere l’incarico il prossimo primo gennaio.

A fare da sfondo alla cerimonia sono state però le violente manifestazioni di alcune centinaia di sostenitori di Bolsonaro, che hanno cercato di fare irruzione nella sede della polizia federale della capitale Brasilia per protestare contro la certificazione del risultato elettorale.

Nel corso degli scontri, i manifestanti hanno dato fuoco a cinque autobus e diverse automobili parcheggiate nei pressi della sede della polizia: altri invece hanno tentato di circondare e assediare l’albergo dove alloggiava il presidente Lula. Per disperdere la folla, gli agenti hanno utilizzato gas lacrimogeni e bombe fumogene.

Scontri che si sono fatti più violenti in particolare per la decisione presa sempre lunedì dalla suprema elettorale brasiliana di arrestare José Acácio Serere Xavante, leader indigeno e tra i principali ispiratori delle proteste pro-Bolsonaro. L’indio, che partecipa da oltre 40 giorni alle manifestazioni dei bolsonaristi nel Paese, è accusato di aver minacciato il presidente della Repubblica eletto e di aver sfruttato la propria posizione per persuadere altre persone a “commettere crimini” attraverso le proteste. José Acácio Serere Xavante sarà in custodia cautelare per dieci giorni con l’accusa di aver compiuto atti antidemocratici.

In un tweet, il senatore eletto e prossimo ministro della Giustizia del governo Lula, Flavio Dino, ha affermato che “è inaccettabile il vandalismo e il tentativo di invasione di un edificio della Polizia federale a Brasilia. Gli ordini giudiziari devono essere eseguiti e le persone che si sentono danneggiate devono ricorrere secondo le procedure e non praticando violenza politica”. In un’intervista al quotidiano G1, Dino ha affermato che il governo uscente non sta facendo nulla di fronte a quella che considera “una situazione assurda”.

Subito dopo il ballottaggio, migliaia di sostenitori di Bolsonaro erano scesi in piazza organizzando ampie manifestazioni e blocchi stradali, rifiutando l’esito del voto. Lo stesso presidente dopo le elezioni aveva chiesto formalmente alle autorità elettorali brasiliani di annullare la maggior parte delle preferenze espresso con la votazione elettronica, denunciando un presunto malfunzionamento del software ma senza portare di fatto prove al riguardo. L’obiettivo, annullando quei voti, era quello di ribaltare il voto: il Tribunale superiore elettorale aveva però respinto il ricorso di Bolsonaro, infliggendo una multa 22,9 milioni di reais (oltre 4,1 milioni di euro) e congelando i conti delle formazioni politiche, compreso il PL, che integrano la coalizione “Pelo Bem do Brasil” del’ex presidente.

Redazione

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