Alla fine succede che il Movimento 5 Stellesalva” la riforma Cartabia. Pur di fermare l’assalto di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. E con buona pace di chi tra i parlamentari 5 Stelle, anche due pezzi grossi del Senato, ieri mattina rassicuravano. «A noi fa comodo uscire dalla maggioranza e farci un bell’anno e mezzo all’apposizione». Come se il presidente Draghi passasse da una maggioranza all’altra, da un governo di (quasi) unità nazionale ad uno chiaramente di destra. Impossibile. Non a caso ha messo la fiducia preventiva. Tutto questo accadeva ieri mattina, mentre i cronisti erano itineranti tra palazzo Chigi, dove era entrata la ministra Cartabia, e il Palazzo dei Gruppi in via Uffici del Vicario dove il leader in pectore Giuseppe Conte aveva iniziato il primo di tre incontri con i parlamentari per spiegare, parlare, convincere, decidere. In un crescendo di suspence degno di una sceneggiatura.

«Oggi avrò il primo incontro, parleremo anche di giustizia» diceva Conte ieri mattina poco dopo le 9 uscendo dalla sua abitazione diventata un indirizzo quasi fisso per troupe e telecamere. Alle 11: «I margini di manovra sono strettissimi, ma io ce la sto mettendo tutta». Alle 12: «È molto difficile per il Movimento votare la riforma senza le modifiche». Alle 13, concluso l’incontro: «I nostri rilievi non sono per esigenze di bottega dei 5 Stelle. Non accettiamo questo livello di discussione. Il nostro obiettivo è velocizzare e celebrare i processi». Un crescendo di alert e distinguo, senza però entrare mai nel merito, che poco prima delle cinque del pomeriggio finisce con il voto in Commissione Giustizia dove il tentativo delle destre di allargare il perimetro della riforma Cartabia introducendo due temi non previsti – la riforma dell’abuso di ufficio e una diversa definizione del pubblico ufficiale – è stato respinto sul filo di lana anche grazie ai voti dei 5 Stelle e di Italia viva. Se fosse passata quella richiesta, addio riforma Cartabia nei tempi prefissati dal Pnrr, l’unico vangelo in vigore per il governo Draghi. I 5 Stelle avrebbero ottenuto il loro massimo risultato – affossare la «schiforma salva-ladri» (cit. Fatto quotidiano) senza sporcarsi le mani. Una trappola in piena regola. Dove non sono caduti. «Perché – raccontano i Pd presenti in Commissione – la verità è che nessuno di loro vuole passare in minoranza e anzi vogliono contare nel governo Draghi». In ogni caso, in via preventiva, a ricordare dove stanno e perché, in Commissione è arrivato anche il ministro M5s Federico D’Incà. Presenza non prevista. Certamente autorevole e governista.

La riforma del processo penale sta diventando quello che era previsto diventasse: un perverso gioco di specchi e tattiche dove ogni partito sta misurando il proprio peso specifico. Intanto va avanti la trattativa, quella vera, a palazzo Chigi perché questa riforma, la più difficile politicamente, è dirimente rispetto al cronoprogramma del Pnrr. E arriverà in aula venerdì mattina. Come previsto. Con alcune correzioni, ancora in limatura. E blindata dal voto di fiducia. Lo sforzo di Conte in queste ore è proprio quello di limitare astensioni e voti contrari nelle file del suo “nuovo” partito. Se ne contano al momento circa trenta. Ma non ci saranno, nel caso, le consuete espulsioni.

«Comunque oggi abbiamo fatto politica, o meglio c’è stata dinamica parlamentare» commentava soddisfatto un membro del governo mentre lasciava la Sala della Regina alla Camera dove si era riunita la Commissione Giustizia. Oltre al sottosegretario Francesco Paolo Sisto (Fi) era arrivato, a sottolineare un momento clou, anche il ministro per i Rapporti col Parlamento Federico D’Incà. Tattiche parlamentari, vedremo poi la sostanza, con una vittima di peso: la deputata Giusi Bartolozzi, magistrato e giudice, ha lasciato Forza Italia ed è passata al gruppo Misto.

È accaduto tutto ieri nelle concitate ore della mattina quando ciascuna parte giocava la sua partita sulla scacchiera della riforma Cartabia che modifica il processo penale e riduce del 25 per cento il tempo dei processi. Bartolozzi, infatti, aveva comunicato che avrebbe votato contro la richiesta di «ampliamento del perimetro della riforma Cartabia» presentata dal suo gruppo. Da giudice, e persona informata sui fatti, per lei è prioritario superare la riforma Bonafede e il “fine processo mai” (la prescrizione congelata). Inserire adesso, a mo’ di bandierina di parte, un tema importante come la riforma dell’abuso di ufficio (per cui i sindaci di mezza Italia sono scesi in piazza due settimane fa) è sbagliato non nel merito ma perché «farebbe allontanare di mesi l’arrivo della riforma in aula. E questo è andare contro il volere del governo Draghi». A maggior ragione Bartolozzi sarebbe stata contraria alla seconda modifica messa sul tavolo ieri mattina dal centrodestra di governo: Pierantonio Zanettin, ex membro laico del Csm, ha chiesto di arrivare anche ad una nuova definizione di Pubblico Ufficiale. Una norma che fonti Pd hanno subito bollato come “norma salva Cav”: «Cambiando la definizione di pubblico ufficiale si svuota la corruzione in atti giudiziari che diventa solo ostacolo alla giustizia con pene molto inferiori e prescrizione più vicina». La deputata, membro della Commissione Giustizia, ha subito condiviso le perplessità, «io non voto questa roba».

Ma i voti ieri servivano tutti per tentare il colpaccio. Come risposta, nelle more di una Commissione Giustizia che convocata per votare sulle richieste del centrodestra è slittata dalla mattina alle 15 e30, Bartolozzi è stata raggiunta da una telefonata che la informava della sua “promozione” a capogruppo di Fi in commissione Affari costituzionali. Un chiaro “promoveatur ut amoveatur” a cui la deputata ha detto “no grazie”. Ed è andata al Misto. Anche i totiani hanno rotto col centrodestra: Maurizio Lupi (Coraggio Italia) si è astenuto, dopo lunghe e tribolate telefonate nel corridoio, rompendo il patto del centrodestra.

Si comprendono così le tensioni nelle chat dei vari gruppi perché il tema dei numeri a quel punto era diventato dirimente. «Se passano le richieste del centrodestra, la riforma sarà affossata. Dal centrodestra e non dai 5 Stelle» è stato il messaggio distillato fin dalla mattina da Alfredo Bazoli, capogruppo Pd in Commissione Giustizia. Si spiegano anche certe tensioni Bazoli-Sarti, la pasdaran 5 stelle, che con Bonafede aveva perfettamente intuito che per un pugno di voti (dei 5 Stelle) la riforma sarebbe sparita dal tavolo grazie però al centrodestra. Insomma, Bonafede avrebbe ottenuto il suo risultato senza sporcarsi neppure troppo le mani. Dal centrodestra è stata però veicolata un’alta versione: «Noi abbiamo alzato una nostra bandierina suicida per stoppare ulteriori richieste dei 5 Stelle». In sostanza, una richiesta irricevibile quella del centrodestra, destinata ad essere bocciata in modo da lasciare disarmato Conte e la sua trattativa con Draghi.

Chissà. Le chiamano “dinamiche parlamentari”. La partita vera si gioca invece a palazzo Chigi. Il lodo finale dovrebbe essere quello proposto dal Pd (Bazoli-Serracchiani) per cui la prescrizione (dei reati) s’interrompe, si congela, dopo il primo grado. A quel punto però i processi dovranno rispettare un loro “orologio”. La ministra Cartabia dice due anni per l’Appello e un anno per la Cassazione, poi scatta la improcedibilità per i processi. Un anno e sei mesi in più per i processi di mafia e terrorismo e quelli più gravi in cui è previsto l’ergastolo. La modifica in discussione prevede di far scattare la improcedibilità per tutti i reati dopo tre anni (in Appello) e un anno e mezzo (in Cassazione). Tutto questo fino al 2024, per dare tempo a tutta la riforma di andare a regime. Restano esclusi i reati per mafia e terrorismo che proseguono lungo un doppio binario (già esistente).

«Non voglio neppure considerare che non venga modificato il testo. Per noi mafia e terrorismo vanni trattati al pari della corruzione» è il messaggio recapitato da Conte a fine mattinata mentre, ripete, «sto facendo il possibile per trovare una soluzione». Ovviamente, per l’ex premier il “confronto” con l’attuale premier è stato «molto chiaro e costruttivo». Ieri sera, intorno alle 19, la ministra Guardasigilli è tornata a palazzo Chigi. I tempi per la mediazione stanno per finire. Stamani il governo farà arrivare in Commissione un maxi emendamento con le modifiche concordate. Su quel testo sarà messa la fiducia. E le dinamiche parlamentari saranno rinviate al prossimo dossier.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.