La cantante che apprezza la Meloni
Cara Arisa lascia perdere i ‘consigli’ e vieni al Pride, l’evento dove democrazia e vita danno il meglio di sé
Se il pubblico ha amato Arisa sin dal suo debutto è per l’effetto sorpresa di quella sua voce bellissima e imprevedibile, spiazzante e inaspettata rispetto al suono così diverso del suo parlare. Arisa dà il meglio di sé con le canzoni: lo sappiamo da sempre e ne abbiamo avuto conferma da una strampalata intervista televisiva della cantante lucana nella quale – tentando maldestramente di dire parole di apprezzamento nei confronti di Giorgia Meloni – ha provato a giustificare l’idiosincrasia della nostra premier per i diritti delle persone LGBT con uno scombiccherato paragone tra lei e una «mamma severa e spaventata, non solo di un figlio ma di tre o quattro, che deve fare bene per tutti».
Un parallelo senza né capo né coda come questo, l’immagine di una Giorgia sì madre e italiana, ma madre di numerosa prole omolesbobitransessuale, avrebbe dovuto indurre chiunque ad archiviare l’Arisa-pensiero nell’archivio del trash più spinto e finirla lì. E invece no. Non solo la malcapitata artista lucana, immediatamente decaduta dal ruolo sin qui ricoperto di “icona gay”, è stata subito sepolta dagli insulti online, ma – a quanto la stessa Arisa ha dichiarato – gli organizzatori del Pride di Milano le avrebbero “consigliato” di non andare alla manifestazione milanese perché “alcuni membri della comunità” avrebbero potuto metterla in imbarazzo. Non lo diciamo per noi, eh, ma per il tuo bene. Una battuta da film, chiaramente rubata a Don Vito Corleone dalla sceneggiatura de “Il Padrino”.
Ora io dico: se c’è una manifestazione politica – perché al di là del colore e del divertimento di quello si tratta – che è per sua natura la celebrazione dell’inclusione e della diversità rispetto a uno standard prefissato, quella manifestazione è il Pride. Se c’è un’occasione dove l’omologazione è bandita, quell’occasione è il Pride. Se c’è un momento dell’anno in cui ciascuno può essere e manifestarsi come vuole, quel momento è il Pride. Al Pride si sfila in giacca e cravatta o in perizoma, con i genitori anziani o con i figli piccoli nel passeggino e nessuno viene biasimato o giudicato, tutte e tutti sono i benvenuti perché il Pride è il luogo dell’orgoglio di ciò che si è, unici e diversi da tutti gli altri. Non solo tollerati o inclusi ma celebrati, e felici di esserlo. Che qualcuno possa stabilire le liste di proscrizione del Pride non è dunque solo aberrante, ma è la negazione stessa del Pride.
Al contrario di ciò che pensa qualcuno, la comunità LGBTQ+ è una moltitudine di individualità che la pensano ciascuna a modo proprio e il cui solo comune denominatore è la richiesta di uguaglianza, di riconoscimento e di rispetto. Reciproco e dal resto del mondo. La comunità LGBTQ+ non è un monolite, una massa indistinta di persone che la pensano tutte allo stesso modo e il cui pensiero può essere interpretato da una cerchia ristretta di persone. La comunità che queste persone pensano di rappresentare parla solo al singolare e non tollera (figurarsi includere o celebrare) voci dissonanti. Ma è una visione tutta ideologica e distorta della realtà.
Quella che vede il Pride come una marcia militare al passo dell’oca e non il momento di gioia popolare che è, quella che ancora incredibilmente considera l’unica legge fatta per le persone LGBT in Italia – le Unioni civili – come una sconfitta e chi le promosse come un nemico. Ad Arisa dico dunque di andarci, al Pride. Tra la gente, a celebrare uno dei momenti in cui la democrazia e la vita vera danno il meglio di sé: saranno tanti a essere felici di vederla.
E a chi tiene alla democrazia, a chi oggi è preoccupato, dico che la democrazia si rafforza praticandola, assicurandosi che gli spazi di pensiero dissonante e la libertà di parola non siano limitati mai, da nessuno e in nessun luogo. È necessario prima di tutto garantirli, quegli spazi, per poterli poi pretendere. Perché preoccupa un paese che non lascia parlare una politica in una manifestazione di libri, ma quello che zittisce un’artista è un paese perduto.
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