Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel messaggio al Parlamento nel giorno del giuramento, ha dettato l’agenda politica per i prossimi anni ed ha disegnato un Paese che faccia della «dignità» la sua bussola. Con riferimento all’esecuzione della pena: «Dignità è un Paese dove le carceri non siano sovraffollate e assicurino il reinserimento sociale dei detenuti. Questa è anche la migliore garanzia di sicurezza».

I numerosi applausi rivolti al Capo dello Stato da parte dei parlamentari, che hanno per ben 52 volte interrotto il suo discorso, non sono un buon segnale perché, evidentemente, non si è compreso che quelle parole erano un solenne rimprovero ad una politica inefficiente e autoreferenziale. Ci auguriamo che, applaudendo, onorevoli, senatori e ministri abbiano trovato il tempo di prendere appunti da utilizzare per il futuro. In tema di giustizia, la ministra Marta Cartabia ha, in più occasioni, affermato che il carcere è una delle priorità del Governo e che gennaio sarebbe stato il mese in cui vi sarebbero stati importanti provvedimenti. Ma gennaio è passato e non s’intravedono atti che possano apportare sostanziali modifiche ad un sistema da sempre al collasso.

Lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi ha dichiarato che occorrono immediate riforme. Eppure ben tre commissioni ministeriali hanno già predisposto, da tempo, quanto occorre fare. A questi lavori, recentemente, si sono aggiunti quelli di altre due commissioni nominate dal ministro della Giustizia. La riforma è, dunque, pronta. Manca la volontà politica di attuarla. Tra l’applauso e il fare c’è di mezzo il mare e nel caso dell’esecuzione penale un oceano sempre agitato che miete costantemente vittime. Allo scorso 9 febbraio sono 29 i detenuti morti nel 2022. Tra questi 9 suicidi. Mentre scriviamo ci giunge notizia di un altro suicidio all’Ucciardone di Palermo.

Il sovraffollamento cresce di giorno in giorno. Ci stiamo avvicinando a 10.000 presenze in più, rispetto alla capienza consentita. Vi sono circa 3.400 detenuti positivi. La maggior parte delle attività trattamentali, già insufficienti, sono sospese. In alcuni istituti sono riprese le proteste dei detenuti e la stessa polizia penitenziaria ha annunciato lo stato di agitazione. Nel carcere di Poggioreale, il 9 febbraio scorso, vi erano 2.258 detenuti mentre la capienza dichiarata è di 1.571 posti. Inoltre la distribuzione delle persone nei singoli padiglioni non è, per motivi di sicurezza, omogenea e così si hanno reparti per 29 detenuti dove ve ne sono 99. L’Unione camere penali ribadirà ancora una volta – nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti italiani che si terrà oggi e domani a Catanzaro – che vanno recuperati immediatamente i lavori della commissione per la riforma dell’ordinamento penitenziario e rispettate le pronunce della Corte Costituzionale. Non servono nuove strutture e più agenti.

Occorrono amnistia e indulto, unitamente alla liberazione anticipata speciale, per abbattere il sovraffollamento e consentire l’effettiva svolta. Ci sono circa 7.000 persone che scontano una pena sotto i tre anni e circa 1.200 con pena al di sotto di un anno. Sono detenuti che a breve saranno liberi. È necessario poi fare ricorso alla pena detentiva solo in occasioni di concreto pericolo per la comunità e dare maggiore spazio alle misure alternative. Rivedere l’organizzazione dei Tribunali di Sorveglianza. Aumentare l’organico di operatori sociali, psicologi, mediatori culturali. Riorganizzare gli interventi sanitari. E soprattutto ripensare al carcere non solo come punizione, ma come opportunità di recupero sociale, nel rispetto del dettato costituzionale, come chiaramente indicato dal Presidente della Repubblica.

Siamo alla vigilia della nomina di un nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, l’attuale si dimetterà il 1° marzo. Non si ripetano gli errori del passato. Si dia davvero un segnale di cambiamento, evitando la nomina dell’ennesimo magistrato, che non può avere l’attitudine a gestire un enorme apparato di circa 200 istituti penitenziari, 11 provveditorati regionali e la polizia penitenziaria. Una figura diversa – coerente con la funzione costituzionale della pena e non quale mero contrasto alla criminalità – garantirebbe la necessaria svolta che, salvaguardando la sicurezza, possa inserire tra i principali elementi della detenzione il lavoro, offrendo opportunità di recupero e, allo stesso tempo, risorse per una positiva gestione dell’amministrazione penitenziaria. Non più applausi, ma fatti!