Di che cosa si duole il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri? Del fatto che il Riformista ha scritto cose false o del fatto che su questo giornale si manifestano idee a lui sgradite? Se è vero che qui sono state pubblicate notizie inveritiere, sono certo che il Riformista riconoscerà l’errore e chiederà scusa: ma l’impressione è che il motivo del dispetto del dottor Gratteri risieda altrove. E cioè, appunto, non nella presunta falsità delle notizie pubblicate dai giornali che il magistrato, con dolente ironia, definisce “a me vicini”: ma nel fatto che alcuni (tra i quali, bisogna confessarlo, certi commentatori di questo quotidiano), pensano che il dottor Gratteri abbia un concetto molto discutibile della funzione giudiziaria e dunque della propria. E hanno la speranza – comprensibilmente antipatica – di poter esercitare senza troppi condizionamenti il diritto di esprimere quel pensiero.

Che si tratti di questo, e cioè dell’irritazione davanti all’idea che non gli piace piuttosto che del disappunto per la notizia falsa, mi pare evidente nel momento in cui il dottor Gratteri si rammarica di essere trattato come un mascalzone (“pare che io sia il criminale d’Italia e tutti gli altri siete persone perbene”, avrebbe detto al Riformista in una conversazione telefonica dell’altro giorno). Ma pensare che certi suoi di modi di intendere e di esercitare la funzione giudiziaria siano modi sbagliati, e capaci di arrecare grave danno al Paese, non significa dare al dottor Gratteri di criminale.

C’è infatti chi pensa che l’indagine giudiziaria non debba essere – come invece proclama il dottor Gratteri durante una conferenza stampa che pubblicizza l’arresto di trecentotrenta cittadini – lo strumento attuativo di una “rivoluzione”: ha il diritto di pensarlo e di scriverlo, o no? E se poi una buona parte di quei trecentotrenta sono rimessi in libertà possiamo pensare che forse non bisognava arrestarli o invece dobbiamo credere che si sia trattato di un infame complotto controrivoluzionario?

Ancora, c’è chi ritiene che compito del magistrato non sia di scrutinare la specchiatezza delle liste elettorali o di smontare una regione d’Italia come fosse un giocattolo: può ancora manifestare liberamente questo suo convincimento o deve essere infilato nel girone degli ‘ndranghetisti, secondo la procedura dei giornali di cui il dottor Gratteri non si lamenta? Sono i giornali, i cui articoli il dottor Gratteri riportava nel suo profilo Twitter, che elogiano l’opera di “pulizia” fatta dalla magistratura in quella regione perché “la politica in Calabria è una montagna di merda”: possiamo apprezzare (e fare) un giornalismo diverso o è vietato?

È fin superfluo aggiungere che tutto questo non ha nulla a che vedere con le dovute misure di protezione che il dottor Gratteri ha il diritto di pretendere, e che lo Stato ha il dovere di assicurargli. Il dottor Gratteri, come ogni magistrato esposto al pericolo, deve essere protetto in ogni modo possibile (anche, se serve, con l’attribuzione a cento euro all’anno di quattromila metri di parco che salvaguardino la sua vita e l’impianto di irrigazione dei suoi alberi secolari). Ma non perché è un buon magistrato. Non perché svolge in modo impeccabile il suo lavoro.

Non perché ha un’idea indiscutibile dell’amministrazione della giustizia. Lo Stato deve proteggerlo, e noi tutti dobbiamo pretendere che lo faccia tanto più attentamente, perché c’è chi vuole fargli del male. Ma in quel dispositivo di sicurezza non può trovare protezione la pretesa diversa e inaccettabile di non ricevere critiche: o, peggio, l’accusa, rivolta a chi le muove, di fare il gioco dei criminali.