Nel rifiuto dell’Anm (l’associazione magistrati) di andare all’incontro con il ministro per discutere sulla riforma penale, c’è una quantità di arroganza che nella politica italiana non si era mai vista. L’Anm con questa sua decisione afferma in modo solenne ed esplicito il proprio diritto di disporre in pieno e senza condizionamenti della legislazione italiana in materia di giustizia. Chiunque può vedere in questa linea politica assunta dall’Anm tutte le caratteristiche dell’eversione: della negazione di ogni dialettica democratica. Cosa rimproverano i Pm al ministro? Di avere recepito tutte le richieste che l’Anm aveva avanzato, ma di avere inopinatamente aggiunto un codicillo che deve essere immediatamente cancellato. Deve essere cancellato prima ancora di iniziare la discussione.

Qual è il codicillo? Quello che prevede – non per adesso ma per un ipotetico futuro, comunque non prima della prossima legislatura – che sia possibile prendere delle misure disciplinari nei confronti dei magistrati che, in modo colposo, provochino ritardi molto gravi nelle indagini. È chiaro che questo codicillo è un fatto puramente platonico. I magistrati (tranne Lupacchini, l’ex Pg di Catanzaro che si è macchiato dell’unica colpa considerata imperdonabile dalla categoria: criticare Gratteri) non sono punibili e mai e poi mai vengono puniti. E comunque la leggina Bonafede non prevede neanche quale sarà la possibile punizione. Ragionevolmente un richiamo orale.

Ma al partito dei Pm non interessa: è una questione di principio. Loro dicono che la totale incontrollabilità e superiorità del Pm è l’unica garanzia di indipendenza della magistratura. Loro identificano indipendenza e potere assoluto. Il povero ministro era stato consigliato dai suoi consulenti di introdurre quel codicillo, per far sembrare almeno in qualche modo che la cancellazione della prescrizione non violasse l’articolo 111 della Costituzione, quello che impone la ragionevole durata del processo. Il partito dei Pm risponde indignato: la Costituzione non può pretendere di stare sopra di noi. La Costituzione siamo noi.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.