Premesso che il tema della prescrizione, come emerge dalle riforme Orlando e Bonafede andrebbe resettato;
– che nell’attuale dibattito in materia spesso si confondono i piani della estinzione del reato per il decorso del tempo con quello della durata ragionevole del processo, perché si è imbastardito un tema di diritto penale sostanziale con un profilo di diritto processuale penale, come emerge dal fatto che un processo di durata irragionevole non implica necessariamente la prescrizione e che, all’opposto, un processo di durata ragionevole può veder prescritto un reato;
– che la questione è “esplosa”, nei limiti delle statistiche evidenziate dall’indagine Eurispes delle Camere penali, perché la questione deflattiva nel passato era stata assegnata all’amnistia che, a differenza della prescrizione che opera a macchia di leopardo, agisce in modo orizzontale e indistinto;
– che il problema della prescrizione consegna all’accusa la scelta di cosa far prescrivere e cosa condurre a decisione di merito;
– che la prescrizione è la conseguenza del mancato funzionamento sotto vari profili della macchina giudiziaria: elefantiasi delle notizie di reato, mancanza di mezzi e di personale, tempi morti, burocratizzazione dei percorsi processuali;
– che conseguentemente tutti gli imputati e le persone offese possono dolersi della durata irragionevole del processo e del loro processo in particolare;
– che per le suddette ragioni si sono dilatati a dismisura i tempi della prescrizione dei reati;
Limitandosi ad affrontare il tema della prescrizione dei reati nello sviluppo processuale si può dire che:
– il soggetto che ha avuto la prescrizione non può lamentarsi dell’applicazione della prescrizione perché il presupposto è costituito dal giudizio di responsabilità;
– il soggetto prosciolto non ha motivo di lamentarsi della modifica della prescrizione, perché, se è prosciolto, è quindi in una condizione migliore di quella nella quale la prescrizione si sarebbe applicata;

– il soggetto che sia stato condannato in primo grado, evidentemente non poteva godere della prescrizione che diversamente gli sarebbe stata applicata;
– il soggetto condannato in primo grado e prosciolto in appello, ottiene una decisione più favorevole della prescrizione;
– l’unico soggetto “danneggiato” è il condannato in primo grado che non può ottenere – se ritenuto colpevole – la prescrizione che sarebbe maturata dopo la sentenza di condanna di primo grado se non ci fosse stata la sospensione del decorso della prescrizione; l’unica possibilità per questo soggetto è costituita dall’annullamento della condanna di primo grado, oltre alle variabili del ricorso in Cassazione;
– dovrebbe escludersi un pregiudizio per l’assolto in primo grado che a seguito di appello del p.m. sia ritenuto colpevole, perché evidentemente non è maturata la prescrizione, perché non sospesa, e se invece è maturata, gli sarà stata applicata;
– dovrebbe escludersi pregiudizio per l’assolto in primo grado che su appello del p.m. dovrebbe essere prosciolto per la prova insufficiente o contraddittoria dovendo prevalere la decisione più favorevole, anche se fosse maturata medio tempore la prescrizione. Essendomi già più volte espresso negativamente sulla questione di costituzionalità della disparità di trattamento tra condannato e assolto non ritorno sul punto se non per ribadire che l’incostituzionalità riguarderebbe il condannato.
Quello che ritengo assolutamente inaccettabile riguarda la possibilità che si preveda una sospensione del decorso della prescrizione nel giudizio di appello nei confronti di un soggetto prosciolto a seguito di un dibattimento svolto in contraddittorio in conseguenza di una impugnazione del pubblico ministero. È inammissibile che un atto unilaterale dell’accusa nei confronti di un innocente, non solo presunto tale per costituzione ma anche in concreto per decisione di un giudice, possa subire una lesione di un suo diritto perché il pubblico ministero presumendo la sua responsabilità non vuole che possa avvalersi del suo diritto all’estinzione del reato.