Una chiacchiera garantista che dura da trent’anni, così abbondante e melodrammatica quando si tratta di proteggere la gente “per bene”, cioè gli appartenenti al clan, sta in perfetta armonia con la più retriva e incivile istanza illiberale quando non c’è da accusare una toga rossa e quando a soffrire l’ingiustizia è chi appartiene a categorie che non ricadono in quell’ambito di tutela. La destra – questa cosa che avrebbe potuto essere altro, questa cosa che ha avuto il tempo, il modo, il potere, l’accreditamento per poter essere altro – in argomento di giustizia non è mai riuscita e tuttavia non riesce a essere nient’altro: e cioè l’osceno, eterno complesso reazionario mobilitato a reclamare impunità o chiavi da buttare secondo che la giustizia infierisca di qui o di là.

Il caso di Cesare Battisti, di cui in particolare questo giornale si è occupato, è solo l’ultima – ma molto significativa – riprova della genuina e inesausta natura illiberale di quella tradizione, che viene su come un catarro inguaribile nei discorsi indignati degli influencer di destra quando un detenuto chiede il trattamento costituzionale dei propri diritti. Non c’è solo il prevedibile Salvini, che rivendica il merito di aver «assicurato alle patrie galere» il «vigliacco assassino» e grida contro lo«sconto di pena» che peraltro nessuno ha chiesto. Ce lo ricordiamo bene, Salvini, nel sodalizio ripugnante con il ministro Bonafede, quello travestito da poliziotto e quest’altro a fare il film della “giornata indimenticabile”, con la musichetta.

Una cosa buona nella Repubblica fondata su Piazzale Loreto: una vergogna in un Paese appena decente. Ma appunto: che cosa volevi che dicesse il capo della Lega? Ma c’è anche, in competizione indemoniata, la madre e cristiana d’Italia, Giorgia Meloni, che a proposito della faccenda dichiara: «Dopo averla fatta franca per decenni, il terrorista Cesare Battisti non concepisce l’idea di dover restare in galera per il resto dei suoi giorni a scontare la pena che la giustizia italiana gli ha inflitto». Dichiarazione stolida in primo luogo perché quel che Battisti concepisce o non concepisce non sono affari della Meloni e di nessun altro, e poi perché la pena inflitta non include il trattamento illegale di cui Battisti si assume vittima. Ma non è mica finita. C’è anche la signora Mara Carfagna, la quale non solo invita Battisti a «dimostrare dignità» (e chi è, una precettrice?), ma proclama: «In nome del popolo italiano è giusto che paghi per quello che ha fatto».

Signora Carfagna: “paghi” come? Con l’isolamento oltre i termini previsti? Con il conto dei minuti d’aria? Con la privazione del diritto alle cure mediche? Con il diniego del lusso costituito da un piatto di riso in bianco? Magari alla luce degli insegnamenti della sua collega in libertà, la signora Santanché, la quale, a proposito delle scandalose pretese di Cesare Battisti, sbava: «Si affami pure, ma in cella!». Cara signora Carfagna, nessuna norma conferisce al popolo italiano, che lei vorrebbe onorare, il diritto di incattivirsi in quel modo su un detenuto. E semmai il popolo italiano dovrebbe vergognarsene: e lei che lo rappresenta dovrebbe spiegarglielo, anziché vellicarne la propensione aguzzina. Sarebbe la vostra, sarebbe questa l’alternativa alla sinistra “giustizialista” che dite di avversare?