Il sistema dei media è arrivato ad interpellare gli psicologi. Il suggerimento al segretario dem è di “non cedere alle provocazioni”. E mica è facile con una schiera di leader egotici convinti di essere indispensabili e a cui da giorni sembra essere stata affidata la tenuta del sistema democratico di questo paese. Calenda è uno che buca per conto suo. Per Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli si tratta di un momento di assoluta visibilità per di più gratuita, sempre utile in campagna elettorale. Mancano ancora sei giorni al deposito di simboli, programmi e coalizioni. La deadline è fissata tra il 12 e il 14 agosto, il prossimo fine settimana. In politica sono un tempo infinito. Di sicuro ieri non sono stati fatti passi avanti nel centrosinistra. E nel centrodestra questa cosa – smentita da palazzo Chigi – che Giorgia Meloni cerchi ministri con la consulenza di Mario Draghi ha mandato ai pazzi Lega e Forza Italia.

Ognuno ha la sua croce. La differenza è che nel centrosinistra si mette tutto in diretta sui social. Nel centrodestra, almeno in questa fase, prevale la vernice e la facciata. Di sicuro ha disturbato e non poco, in Forza Italia, che Giorgia Meloni non abbia preso pubblicamente le distanze dal progetto delle destre che si sono trovate a Dallas per i lavori della Conservative Political Action conference i cui lavori sono stati aperti giovedì da Viktor Orban e saranno chiusi domenica da Donald Trump. Meloni questa volta non è andata. Lo aveva fatto a febbraio, due giorni prima che Putin entrasse in Ucraina con i carri armati. Così come ha disturbato, e non poco, la comparsata di Salvini a Lampedusa per la solita crociata contro l’immigrazione. Al momento almeno, è un tema che non buca.

Come se non bastasse, i centristi del centrodestra, compreso Giovanni Toti (la Liguria ha collegi decisivi) hanno deciso di fare due liste centriste in coalizione con Meloni e Salvini. Salta così l’accordo sulla suddivisione dei seggi. Meloni e Salvini non hanno apprezzato. Nell’altra coalizione, quella del centrosinistra, sono certamente più teatrali. L’incontro a tre – Letta, Calenda, Della Vedova – è avvenuto ieri pomeriggio nella calura insopportabile della Capitale alla fondazione Arel, il think tank quartier generale di Letta. L’incontro non ha risolto molto però c’è stato. La rottura non sembra tra le cose possibili. Anche perché Fratoianni e Bonelli sono obbligati a stare con qualcuno che dia loro un simbolo e l’esenzione dalle firme, cosa che al momento è garantita da Articolo 1 già stabilmente inserito nelle liste Pd. Di sicuro va trovato un punto di mediazione. In Azione la vedono così: “Noi abbiano fatto il patto con il Pd, dal giorno dopo fino ad un’ora fa Fratoianni e Bonelli sono andati in tv a dire che Calenda è un bimbo viziato, che la Nato fa schifo e che l’agenda Draghi non esiste. È l’ora che Letta chiarisca. Non è pensabile fare accordi separati. Non siamo all’Unione e neppure a Berlusconi del 1994 che fece il doppio patto con Lega e An”.

La replica del Nazareno arriva intorno alle 19, poco prima di un nuovo incontro di Letta questa volta con Fratoianni e Bonelli. “Noi – si spiega – continuiamo a lavorare per una coalizione più larga e plurale. Vogliamo confermare l’accordo con Azione e +Europa. E anche con Verdi e Sinistra italiana”. Il segretario dem sta perdendo la pazienza. “L’intenzione è di chiudere tutto entro domani (oggi, ndr). Il tempo sta scadendo”. Nel frattempo, gira la battuta di Matteo Orfini: “Serve un hacker che manda in down twitter per tre giorni. Così magari riusciamo a completare la coalizione”.

Twitter e tv infatti hanno complicato anche ieri la situazione. “Così rischia di saltare tutto” è l’allarme tra i dem dopo una mattinata sull’ottovolante tra le repliche e controrepliche dei partner, potenziali, dell’alleanza. Carlo Calenda ne ha per tutti. Parte da Luigi Di Maio: “Della sorte di Di Maio, D’Incà, Di Stefano e compagnia non ce ne importa nulla”. Anche il ministro degli Esteri reclama infatti “rispetto e pari dignità”. Tradotto vuol dire che se Calenda ha avuto il 30% dei seggi uninominali (che poi vanno sempre vinti e non è affatto scontato), Di Maio vuole almeno il 15%. Uguale Fratoianni e Bonelli. Il problema è che poi al Pd resterebbe il 40%. I candidati, potenziali, dei vari territori sono già sul piede di guerra. “Decidete” dice Calenda al Pd. Siamo a fine mattinata. E arriva il turno dei rossoverdi: “L’agenda Draghi non esiste, il povero Calenda deve correre in cartolibreria a comprarsene un’altra”. Controreplica di Calenda: “Mi pare del tutto evidente che c’è una scelta netta da fare: il Pd ha siglato un patto chiaro con noi che dice l’opposto di quello che dice Fratoianni. A queste condizioni per quanto ci concerne non c’è spazio per loro nella coalizione”. Scende in campo anche il ministro Franceschini: “Fermatevi! Ci aspetta una sfida molto più grande dell’interesse dei nostri partiti: evitare che l’Italia finisca in mano a una destra sovranista e incapace”. L’appello del ministro però non sembra funzionare. “Dario – replica il leader di Azione – il terzismo alla volemose bene con noi non funziona. L’interesse dei partiti non conta nulla. Conta dare al paese una prospettiva di Governo seria. Questi erano i patti. Ripeto. Decidete”.

In palio in realtà c’è molto di più della coalizione. C’è l’esistenza stessa del Pd. Giuseppe Conte non ha mai smesso di parlare con la sinistra del partito, da Zingaretti a Orlando, da Boccia a Provenzano, quelli di “o Conte o morte” che coltivano il sogno giallorosso. Magari dal 26 settembre. Il leader dei 5 Stelle sta corteggiando Fratoianni e Bonelli che però non hanno simbolo e Grillo non glielo vuole dare. Letta non può perdere la parte sinistra del partito in favore di Calenda che a sua volta sposterebbe troppo al centro il Pd. È la battaglia di sempre. Mai risolta. E causa di tutte le scissioni. In mezzo ci sono Matteo Renzi e Italia viva che, tra qualche avance e alcuni abbocchi, proseguono “con coerenza e coraggio la sfida di andare da soli”. Ci sono contatti con Pizzarotti e la rete dei sindaci. È la strada del Terzopolo. O come si chiamerà. Il Pd, questo va detto per chiarezza, ha sempre spinto fuori dalla coalizione i renziani. Il Nazareno ha scelto Calenda. Ma Calenda ora sceglierà loro?

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.