In un mio intervento apparso su Il Riformista del 20 novembre mi dichiaro “stupito” del fatto che mons. Paglia, pur avendo sostenuto, in una puntata di Rebus del 10 ottobre, di non essere “d’accordo” con chi dice che la vita è indisponibile, nel corso del dialogo con Zanchini e Augias abbia poi sorvolato sul fatto che chi dice che la vita è indisponibile è la Chiesa stessa.

In un articolo di risposta apparso su Il Riformista del 25 novembre Fabrizio Mastrofini (dell’Ufficio Stampa della Pontificia Accademia per la Vita di cui Paglia è presidente) sostiene, in modo garbato ma perentorio, che «La Chiesa cattolica non ha le posizioni che Fornero sintetizza». Posizioni rappresentate dalla tesi (che ho ribadito di recente anche in un volume di 800 pagine scritto per la Utet) secondo cui l’indisponibilità della vita fa parte delle “idee madri” della dottrina cattolica ufficiale. Per invalidare questo modello interpretativo il mio interlocutore si appella al (ben noto) fatto che la Chiesa è contro l’accanimento terapeutico e contro l’elevazione della vita fisica a valore supremo. Di fronte a questo modo di procedere, di cui si serve il mio interlocutore per attribuirmi tesi che non ho mai affermato che solo chi non ha letto i documenti potrebbe sostenere (come quella della sacralizzazione cattolica della vita fisica) mi chiedo: è “tutto qua” quello che Mastrofini ha da dire per dimostrare che dal punto di vista cattolico la vita non è un bene indisponibile?

In realtà egli sembra dimenticare (reputo questa una solida prova della fragilità complessiva del suo discorso) che gli stessi documenti magisteriali che respingono l’accanimento terapeutico e l’assolutizzazione della vita fisica affermano nel contempo l’indisponibilità della vita. E quindi la tesi secondo cui l’uomo non può intenzionalmente e direttamente privarsi della propria vita, né per mano propria (suicidio) né con la cooperazione di terzi (suicidio assistito ed eutanasia volontaria). Del resto per la dottrina cattolica ufficiale sostenere la “sacralità” della vita” (tema caro a papa Francesco) equivale a sostenere che essa è inviolabile e “indisponibile”. Questo non perché lo dico io, ma perché lo affermano in modo esplicito i documenti. Tant’è che il par. 39 di quel basilare testo che è la Evangelium vitae recita: «Di questa vita, pertanto, Dio è l’unico signore: l’uomo non può disporne». Con l’esplicita precisazione, nel par. 40, che per l’uomo la vita propria e altrui costituisce una «realtà che non gli appartiene». Tant’è che lo stesso Giovanni Paolo II, evidenziando con chiarezza il nesso tra i concetti di sacralità e indisponibilità, in un discorso degli anni Ottanta inequivocabilmente afferma che «una conseguenza diretta della provenienza divina della vita è la sua indisponibilità».

Sintetizzando con analoga chiarezza questo paradigma “indisponibilista” presente in tutti gli altri scritti magisteriali, in particolare in quelli firmati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (dalla Dichiarazione sull’eutanasia alla Samaritanus bonus) la Conferenza Episcopale Italiana nel par. 11 di quel recente documento che è Alla sera della vita, testualmente scrive: «C’è pertanto un diritto alla vita, alla sua tutela e promozione. Non un diritto sulla vita. Di qui la sua indisponibilità e inviolabilità anche per il soggetto, che priva di senso e delegittima ogni diritto di morire». A questo punto, testi alla mano, giudichi il lettore se è proprio vero che la Chiesa non dice che la vita è indisponibile e che nella dottrina magisteriale «non ci sono quegli elementi che il filosofo Fornero indica».

Ossia quegli elementi che rimandano a un “paradigma” indisponibilista (tant’è che un autorevole conoscitore della dottrina come il cardinal Sgreccia, invece di accusarmi di fornire una visione distorta della posizione ufficiale del magistero, soleva ripetere che «nel laico Fornero c’è l’encomiabile sforzo di riprodurre in modo fedele e documentato tutte le posizioni di pensiero, comprese quelle da lui non condivise»).