Negli anni Sessanta anche i ragazzini si interessavano alla politica. Credo che nacque così la generazione del ‘68. Leggevamo i giornali, sentivamo la radio. Calcio, ciclismo e politica. Quando facevo la prima media seguii con grande passione l’elezione del presidente della Repubblica. Ascoltavo lo scrutinio alla radio e segnavo i voti con una crocetta sul quaderno a quadretti di matematica. Segni, Segni, Segni, Terracini.

Mi sembrava una sfida quasi alla pari. Facevo tifo per Terracini non per comunismo infantile ma perché Segni era in vantaggio e a me piaceva l’idea della rimonta. Non sapevo che era impossibile. Vinse Segni, infatti. L’anno dopo seguii anche la campagna elettorale, quella del ‘63, e cercai di capire che differenza ci fosse tra comunisti e socialisti; poi assistetti all’elezione del presidente della Camera. Aveva un gran nome: Leone. Non aveva solo un gran nome, era un personaggio di straordinario rilievo, come giurista e come avvocato. Io non ero ancora in grado di apprezzare queste doti, e qualche anno dopo, ormai ventenne, andai su tutte le furie per la sua elezione al Quirinale, contro Moro, grazie ai voti dei fascisti di Almirante.

Leone durò poco alla presidenza di Montecitorio, perché lo chiamarono – lo facevano spesso quando non sapevano che pesci pigliare – a palazzo Chigi per fare un governo di transizione. Stava nascendo il centrosinistra e c’era un bel casino. Al posto suo elessero al vertice della Camera un ex magistrato, molto stimato: Brunetto Bucciarelli Ducci. Lo votarono anche i comunisti. Togliatti dichiarò che Bucciarelli “dava tutte le necessarie garanzie di competenza, prestigio e responsabilità”. Tra qualche riga ci torno su queste parole del feroce “Ercoli”.
Bucciarelli Ducci tenne con saldezza la presidenza, anche in momenti difficilissimi come il minacciato colpo di Stato del 1964 e poi l’inizio del travolgente ‘68. Se ne andò in punta di piedi e restò una figura di alto profilo anche se all’inizio degli anni 80 fu un po’ travolto dallo scandalo della P2.

Dopo di lui venne Pertini, partigiano e comunicatore e tempra senza paragoni nella sua generazione. Poi Ingrao, tra i politici del dopoguerra forse il più colto e il più nemico del potere, e poi il monumento Nilde Jotti, rispettato da tutti, ma proprio da tutti. Ecco, scusate se ho fatto un po’ di cronaca antica. Ma ieri, quando ho sentito che era stato eletto presidente della Camera Lorenzo Fontana, chissà perché, mi sono tornati in mente quei nomi lì: Bucciarelli, Leone, Pertini, Ingrao, Iotti, Napolitano… e poi i nomi più recenti: Boldrini, Fico, Fontana. Ho avuto un lieve giramento di testa. Ho pensato: deve essere passato ormai senza freni il motto e l’ideologia grillina: uno vale uno. Fico vale Ingrao.

Fontana lo ho conosciuto qualche giorno fa, perché abbiamo partecipato insieme a una trasmissione televisiva. Mi è sembrato un ottimo ragazzo. Poi ho sentito il suo discorso di insediamento, mi è sembrato sempre un ottimo ragazzo, col quale giocherei con piacere a calcetto, anche se temo che sia molto più forte di me. (Più forte a calcetto, dico…). Ma davvero sarà lui l’erede di Pertini? E in che modo è stato scelto? Mi tornano in mente le parole di Togliatti: “competenza, prestigio, responsabilità”. Bucciarelli aveva fatto parte della Democrazia cristiana clandestina, a Bari, insieme al giovane Moro. Non vi voglio nemmeno raccontare i precedenti politici di Pertini e Ingrao. E Fontana? Dicono che sia celebre per la sua opposizione all’aborto. Andiamo bene…

Mi son riletto l’articolo che ho scritto ieri su La Russa. E poi ho riletto anche l’articolo che ha scritto il mio amico David Romoli. Credo che sia necessaria una correzione. Netta. Siamo stati molto critici con La Russa. Errore. Dopo aver ascoltato Fontana ho pensato che Ignazio sia un gigante. Sì, sì, fascista, fascista finché vi pare, ma un bel tipo, che fa parte della storia della Repubblica, che l’ha vissuta, che la conosce, che sa anche parlarne, che ha dimestichezza con le idee e con le ideologie… se poi gli scappa l’idea di fare la festa del regno, e un pizzico di nostalgia per il ventennio non la nasconde mai, francamente glielo perdoniamo. Contrordine, compagni: dopo aver ascoltato Fontana ti viene spontaneo dire così: per fortuna che c’è La Russa…

Avatar photo

Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.