Fino al 19 maggio solo pochi iraniani avevano sentito parlare di Mohammad Mokhber, nominato dalla guida suprema Khamenei alla presidenza ad interim della Repubblica islamica. Mokhber è noto per essere vicino a Khamenei e molti si chiedono se, una volta candidato, riuscirà a “vincere” le prossime elezioni presidenziali del 28 giugno. Ha ottimi rapporti anche con i guardiani della rivoluzione ed è a capo del conglomerato pubblico multimiliardario Setad, costituito da proprietà e imprese sequestrate dalla rivoluzione islamica. Setad e Muhbir sono sulla lista delle sanzioni americane. Il calendario elettorale è stato definito dalla commissione presieduta dallo stesso Mokhber. Terminati i cinque giorni di lutto, dal 30 maggio inizierà il processo di registrazione dei candidati che terminerà il 3 giugno.

La campagna elettorale si svolgerà per due settimane, dal 12 al 27 giugno. Ma quali sono i potenziali contendenti? Al momento, sulla carta, sono otto i possibili aspiranti chiave da tenere d’occhio alla successione a Raisi. Il 28 giugno si terranno le elezioni che, come tutte le precedenti, si profilano come elezioni farsa. Così come per quelle presidenziali del giugno 2021 e per le ultime dell’1 marzo 2024, quando si è rinnovato il Parlamento iraniano e l’Assemblea degli esperti, anche per queste imminenti elezioni presidenziali la questione critica sarà la partecipazione al voto che – in particolare in queste ultime tornate elettorali – ha toccato il suo minimo storico perché la popolazione non considera legittima l’esistenza della Repubblica islamica a causa della mancanza di libertà e dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Ragion per cui solo poco più del 35% della popolazione si è recato a votare e non lo ha fatto nemmeno spontaneamente, ma sotto minaccia.

Un secondo candidato potrebbe essere Mohammad Bagher Ghalibaf, da lungo tempo favorito per la carica di leader supremo assieme al secondogenito di Khamenei, Mojtaba. Ghalibaf è stato tre volte candidato alla presidenza e anche lui mantiene stretti legami con il Corpo rivoluzionario, grazie al quale ha scalato diversi ranghi. Ali Shamkhani è un esponente della corrente centrista ed è stato capo del potente Consiglio supremo di Sicurezza nazionale che a marzo 2023 ha firmato per Teheran lo storico accordo di riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita mediato dalla Cina.

Anche l’intransigente ministro dello Sviluppo urbano, Mehrdad Bazrpash, è un potenziale candidato promosso dagli attivisti pro-establishment come giovane lealista che preserva l’eredità di Raisi. Abbiamo poi il politico veterano Ali Larijani, presidente del Parlamento da molto tempo in carica, che rappresenta i cosiddetti moderati del campo conservatore. Precisiamo che il termine “moderato” nella Repubblica islamica è un eufemismo tra i tanti. Perché, per chi conosce bene questo paese, di moderato nella Repubblica dei mullah non vi è proprio nulla.

Potrebbe di nuovo riproporsi come candidato alla presidenza anche Mohammad Javad Zarif, diplomatico esperto istruito negli Stati Uniti, noto in Occidente come l’architetto dell’accordo sul nucleare iraniano del 2015 con le principali potenze, tra le quali gli Stati Uniti, così come l’ex presidente (2005-13) dalla linea di ferro antiamericana e antisionista, Mahmoud Ahmadinejad entrato in rotta di collisione con l’ultraconservatore Khamenei. Infine abbiamo l’ex presidente Hassan Rouhani (2013-21), già fatto fuori, assieme ad Ahmadinejad e a Larijani nelle elezioni farsa del giugno 2021 e dell’1 marzo.

Tutti questi aspiranti alla presidenza, tuttavia, saranno passati al setaccio dal Consiglio dei guardiani controllato da Khamenei per escludere quelli non graditi. Come vedete siamo all’acme della faida che si era già registrata nel corso del voto dell’1 marzo. Nel 2021 il Consiglio dei guardiani aveva infranto tutte le aspettative sulla possibilità che vi potessero essere elezioni competitive, bandendo Larijani dalla corsa presidenziale per coreografare e assicurare una facile vittoria schiacciante a Raisi e quello fu un tentativo di eliminare dall’establishment al potere qualsiasi voce “moderata” pur presente all’interno del regime. Si comprende bene dunque che le elezioni in Iran sono una mera farsa ed è anche per questo che il popolo iraniano le boicotta.