Le oramai consolidate Riforme che incidono gravemente sui diritti fondamentali, quali quelle che estendono le drastiche misure di prevenzione contenute nel codice antimafia a nuove categorie di soggetti, colpiti soltanto da indizi di determinati delitti, dovrebbero essere valutate con attenta meditazione. Con il rispetto che si deve ad un testo del disegno di legge ancora inedito, quale quello in materia di contrasto alla violenza di genere, l’attenzione va rivolta all’ennesimo intervento espansivo del codice antimafia e del catalogo della pericolosità qualificata, che si manifesta come il segnale di un preoccupante indirizzo di politica criminale che incrementa e rafforza incessantemente, ormai da diversi anni, l’utilizzo di un sistema, quello appunto delle misure di prevenzione, che meriterebbe invece se non la sua totale eliminazione, quanto meno, una seria ed urgente riforma esso stesso.

Una integrale rivisitazione – di questo si parla – del codice antimafia, in passato vanamente promessa dai legislatori, dovrebbe ambiziosamente mirare a riportarlo velocemente entro i canali delle garanzie minime, sostanziali e processuali, di un processo giusto, che in un sistema di ispirazione liberale e democratica non si possono derogare neppure facendo ricorso ad ellittiche soluzioni terminologiche, che richiamano imperscrutabili distinzioni fra ciò che è semplicemente “afflittivo” e ciò che invece è dichiaratamente “repressivo”. Le misure di prevenzione, a dispetto della loro origine di strumenti eccezionali, sono divenute un autentico sottosistema ipertrofico del tutto parallelo a quello penale, del quale tuttavia esse emulano soltanto estesi poteri di indagine e strumenti afflittivi sulla persona e sui patrimoni, senza godere delle garanzie riservate alla materia penale.

Interi patrimoni vengono sottratti a soggetti, anche post mortem, attraverso indagini che, svincolate da limiti di durata e di controllo di un Giudice terzo, toccano i meandri più intimi di soggetti e della cerchia dei più stretti parenti e conviventi del proposto, mettendo in controluce il tenore di vita tenuto per la intera vita. Sul piano della tipicità, ossia della precisione della legge, sembra arduo pretendere che dal quadro fumoso della “qualità di mero indiziato”, i cittadini possano orientare i propri comportamenti in previsione delle conseguenze che un determinato atto potrà comportare loro, in termini di limitazione della libertà e del patrimonio. La nozione di “indiziato” d’altro canto è elemento normativo che non individua il fatto storico dal quale doversi difendere in giudizio, ma è un dato che si indirizza a colui che dovrà applicare la norma, attraverso l’indicazione di uno “standard probatorio” che oltretutto nell’area della prevenzione può assumere spessore dimostrativo insufficiente per addivenire ad una condanna in sede penale: persino una soluzione assolutoria in sede penale potrebbe legittimare in taluni casi la applicazione delle misure di prevenzione, in nome del noto principio della autonomia di valutazione delle prove del Giudice delle misure antimafia. Il sistema della prevenzione è uscito sostanzialmente indenne dalla ardua prova di resistenza cui è stato sottoposto dalla Consulta dopo la demolitoria sentenza della Corte Edu, sulla base del principio secondo il quale la norma, pur essendo imprecisa, sarebbe stata colmata di chiarezza e tipicità dalla costante interpretazione giurisprudenziale assurta a diritto vivente.

È legittimo il timore proclamato da illustri commentatori di questa storica decisione dalla quale si intravedono le avvisaglie di una transizione dall’“età della legge” all’“età dell’interpretazione” connotata da un diritto liquido e senza codice, in cui la figura del Giudice si trasforma (con dubbi evidenti circa la compatibilità con la nostra struttura costituzionale, ben diversa dai sistemi di “common law”) in un coartefice del prodotto legislativo, con il disco verde della Consulta che passa per la bollinatura della prevenzione come norma estranea al penale. Senza esagerazioni retoriche, viene da domandarsi in conclusione se il sacrificio enorme che il sistema della prevenzione impone sotto il profilo della rinuncia delle garanzie della persona, sia giustificato dal perseguimento degli obiettivi che esso mira a raggiungere, tanto più in presenza di una estensione continua e progressiva del perimetro applicativo, originariamente pensato per il contrasto ai reati di mafia.

E ancora, se è vero che si tratti di misure irrinunciabili in vista della tutela dell’economia sana posta a rischio dalla concorrenza malata di capitali infettati ab origine dalla loro illecita o opaca provenienza, va considerato che l’ordinamento possiede efficacissimi strumenti di contrasto, in materia di evasione e riciclaggio, in grado di assicurare risultati efficaci al pari o superiori rispetto a quelli della confisca di prevenzione. In conclusione, non vorremmo che la prevenzione diventi un nuovo modello di processo, un semilavorato frutto di esperimenti avanzati su cui realizzare il prototipo di un nuovo sistema processuale che ci proietti verso il futuro, richiamando però di fatto vecchi e familiari sapori che sembravano dispersi dai tempi del 1889.