Il video in cui Beppe Grillo difende il figlio Ciro, accusato di stupro insieme con tre amici, ha fatto il giro del web e catalizzato l’attenzione degli organi di informazione. Il contenuto delle parole dell’Elevato, così come il comico genovese si fa chiamare dagli iscritti al Movimento 5 Stelle, è di una gravità inaudita. È disgustoso l’esercizio di garantismo a favore del figlio da parte di chi ha fatto del giustizialismo la cifra del proprio impegno politico. È inaccettabile che uno stupro, al momento soltanto presunto, venga derubricato a bravata. Ed è intollerabile che la ragazza vittima di una violenza sessuale – allo stato attuale solo presunta, è il caso di ribadirlo – venga infangata sottolineando il fatto che abbia presentato la denuncia otto giorni dopo i fatti finiti al vaglio della Procura di Tempio Pausania.

Le esternazioni di Grillo mettono in imbarazzo innanzitutto per il M5S, già devastato da liti sulla piattaforma Rousseau, scissioni, mancanza di una direzione e dalla leadership dell’ex premier Giuseppe Conte che stenta a decollare. Soprattutto, però, sono dinamite per chi col M5S vuole strutturare un’alleanza organica in vista delle prossime amministrative, cioè per il Partito democratico. In un’intervista a Repubblica, l’ex ministro e attuale membro della segreteria nazionale dem è stato chiaro: «Uniremo il centrosinistra ovunque e, dove possibile, faremo l’alleanza col M5S in tutti i 1.304 Comuni al voto». Il che vuol dire che il Pd, se non condivide, è almeno disposto a “chiudere un occhio” sul garantismo a corrente alternata e sul becero maschilismo espressi da Grillo.

Le parole di quest’ultimo, però, sono addirittura una bomba atomica per chi non solo è pronto ad allearsi col M5S in vista delle comunali, ma è persino disposto a farlo senza passare per le primarie e accettando l’idea che il candidato sindaco possa essere un grillino (quindi, almeno sulla carta, un esponente politico che condivide la sottocultura rappresentata dall’Elevato). Il riferimento, ovviamente, è al Pd napoletano. Il segretario metropolitano Marco Sarracino, dopo aver ipotizzato la candidatura a sindaco del pentastellato Roberto Fico, ha definito «superata» l’ipotesi delle primarie di coalizione avanzata dal leader nazionale Enrico Letta e ha poi ribadito la necessità di un candidato unitario che sia sostenuto da dem, grillini e altre forze del centrosinistra.

A Sarracino e a tutti i napoletani iscritti al Pd non sfuggirà il significato di una simile scelta: condividere il candidato sindaco col M5S vuol dire accettare il complesso dei (dis)valori che Grillo ha esternato in modo tanto volgare e violento. E farlo senza primarie equivale a negare al proprio elettorato la possibilità di esprimersi su tutto ciò che significa, al giorno d’oggi, essere grillini. Il Pd napoletano – lo stesso che ha abbandonato Antonio Bassolino ai tempi dei processi sui rifiuti e ora l’ha relegato tra i “vecchi arnesi” della politica – è garantista oppure, come si usava ai tempi della Prima Repubblica e come Grillo ha fatto in video, vuole che la legge sia applicata per i “nemici” e interpretata per gli “amici”?

I dem partenopei avallano la cultura della violenza verbale e del linciaggio alla quale molti pentastellati si sono associati nel momento in cui hanno espresso solidarietà al loro leader? Sarebbe il caso che qualche autorevole esponente del Pd partenopeo sciogliesse questi nodi: in gioco non c’è solo la credibilità del partito, ma il futuro stesso di Napoli.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.