Con il suo secondo film, Close, in uscita nelle sale italiane con Lucky Red, il 4 gennaio 2023, Lukas Dhont ha vinto la Camera d’Or all’ultimo Festival di Cannes e partecipato ad Alice nella Città. Arrivato a Roma per presentare il film al pubblico italiano, il giovanissimo regista belga, giunto velocemente alla fama con il delicato ma brutalmente reale Girl, ha dedicato tutto il suo tempo a raccontare l’origine e la messa in scena di Close.

Storia di un’amicizia fondamentale, intima, appassionata tra due ragazzi di 13 anni, Léo e Rémy, che viene spezzata rapidamente dal confronto con la realtà di una nuova scuola e una società che non riesce a definire e di conseguenza accettare un legame così totalizzante. Candidato a 4 European Film Award, gli Oscar Europei, Close commuove e incanta, per il suo mix di poesia bucolica dell’adolescenza e sguardo senza fronzoli della realtà. Lukas Dhont spiega il suo approccio alla narrazione di quel particolare momento di vita e il ruolo del cinema nel provare a cambiare le cose.

Come ha ottenuto questo coinvolgimento forte da parte dei suoi giovani attori?
Prima di tutto amo lavorare con i giovani. Durante i casting abbiamo incontrati tanti ragazzi di questa età incredibilmente talentuosi e intelligenti. Ciò che era importante per creare autenticità e intimità è stato in un certo senso imitarla nella realtà. Loro hanno letto la sceneggiatura ancor prima che completassimo il casting, perché credo fosse importante non soltanto che fossimo noi a scegliere loro ma che loro scegliessero noi. Nel corso di sei mesi abbiamo trascorso moltissimo tempo insieme. Non abbiamo provato le scene – non lo faccio mai – ma stavamo sempre insieme ed ogni tanto gli chiedevo, in maniera informale, perché i loro personaggi, secondo loro, agivano come scritto.
Per me era importante che capissero quale fosse il loro ruolo e sentissero la libertà di esprimersi. Per quanto riguarda il mio stile, c’è una messa in scena, un mio quadro di riferimento disegnato in profondità nel minimo dettaglio con il mio direttore della fotografia, ma non volevo che chi si trovava davanti la macchina da presa ne avesse grande consapevolezza e che ci fosse la sensazione che fosse tutto studiato.

Questo film aiuta lo spettatore a far pace con quel momento della vita in cui vogliamo tanto appartenere ad un gruppo ma allo stesso tempo sentirci unici. Concorda?
Sì, credo parli di quel momento fragile nella giovinezza di ognuno di noi in cui dobbiamo confrontarci per la prima volta con una società che vuole dividerci in categorie, in gruppi. E questa è una divisione piuttosto verticale perché alcuni gruppi sono decisamente più popolari di altri. E sentiamo fortemente di voler appartenere a un gruppo tanto da tradire certe parti di noi stessi per farlo, quelle che all’apparenza risultano più facili da abbandonare. Io credo di essere stato un giovane che ha tradito un po’ troppe parti di se stesso per quel desiderio di appartenere. Ritengo sia veramente coraggioso il voler essere invece unici. A quell’età, soprattutto. Ammiro dunque coloro che a quell’età, riescono a scegliere di essere fedeli alla propria unicità.

Il film ha quasi un nuovo inizio, dove alcuni registi invece calerebbero il sipario. Una scelta per riflettere sul significato di questa amicizia per i protagonisti?
Quando abbiamo iniziato a scrivere con il mio co-sceneggiatore, Angelo Tijssens, ci siamo interrogati su che tipo di esperienza cinematografica volevamo far fare allo spettatore. Abbiamo quindi pensato di dividere il film in due parti. La prima in cui sperimentiamo la tenerezza, e questa bellissima, intima, sensuale amicizia tra due ragazzini che raramente vediamo rappresentata sul grande schermo. La seconda invece parla del dolore e la sofferenza per la perdita di quell’intimità, quel legame. Per noi il film parla di come la fragilità viene corrotta dalla brutalità di una società che è disabituata a immagini di tenerezza legate al maschile. Credo che in questo mondo siamo più abituati ad immagini di uomini impegnati in combattimenti che a quelle, ad esempio, di uomini stesi a letto, in intimità l’uno con l’altro.

Come pensa che il cinema e il suo cinema in particolare possa contribuire ad abbattere la mascolinità tossica e i muri di una società che vuole inserirci dentro categorie?
Prima di tutto credo che il punto sia rendere visibile l’invisibile. Abbiamo iniziato a lavorare a questo film mettendoci in ascolto di cosa avevano da dire i veri tredicenni. E quando li ascolti veramente, senti quanto amore hanno da esprimere, quanto abbiano bisogno di intimità e connessioni profonde. Non credo che queste voci siano abbastanza visibili e il nostro primo desiderio è stato renderle tali. Ciò a cui invece diamo visibilità sono gli uomini che lottano l’uno contro l’altro. Sono questi gli esempi di mascolinità tossica e non certo le bellissime e tenere voci di questi ragazzi. Credo che il cinema debba funzionare come un ponte, non solo tra me regista e i personaggi ma anche con lo spettatore in sala. Questo è il potere del cinema per me, quando stai lì seduto a guardare e all’improvviso ti ritrovi catapultato in vite che non hai mai vissuto ma che hai così la possibilità di sperimentare. Così facendo, ti porti a casa una comprensione maggiore di te stesso.

Come pensa che questo film possa risuonare negli spettatori di diverse generazioni?
C’è soltanto una parte di pubblico che ho avuto l’opportunità di incontrare. Ce n’è un’altra per cui non avrò mai la possibilità di sapere che tipo di impatto ho avuto su di loro. In tutto questo credo però che ci sia qualcosa di poetico: condividere qualcosa di così personale per me con qualcuno che non incontrerò mai. Ho la sensazione che per gli adulti il film abbia molto a vedere con il ricordo di un rapporto che è stato ed è andato perduto e quindi in un certo senso, che dia il via ad una riflessione sul passato. I giovani invece, una generazione che cerca di smantellare e destrutturare la società patriarcale, cercando di spezzare le categorie e le divisioni tra l’essere uomo e donna, essere etero o queer, credo che nel film vedano la ricerca e una sensazione di fluidità.